I sindaci contro l’inceneritore non si rassegnano: “Hanno i numeri ma non la ragione”

In una lettera 8 sindaci soci di Accam contesto l'adozione del nuovo piano industriale: "Entro un paio di anni i soci saranno chiamati a rivedere il business plan perché è cambiata la situazione e bisognerà spostare ancora in là la chiusura dei forni"

accam

Una storia che si ripete: un business plan che si approva, le previsioni che non si verificano e il rischio del default. È questa la previsione di un gruppo di 8 sindaci dopo l’approvazione del nuovo business plan di Accam che posticipa la chiusura dell’inceneritore al 2027.

“Il nuovo business plan presenta decine di importanti aspetti critici che sono stati evidenziati nell’assemblea ma la volontà dei 3 comuni più rilevanti è stata predominante: hanno votato a favore del proseguimento fino al 2027 però solo 6 comuni su 27″, scrivono in una lettera i sindaci di Canegrate, Castano Primo, Magnago, Olgiate Olona, Rescaldina, San Giorgio, Vanzaghello e San Vittore Olona in cui ripercorrono le tappe di questi ultimi anni e prevedono: “scommettiamo che entro un paio di anni i Soci saranno chiamati a rivedere il business plan perché è cambiata la situazione e bisognerà spostare ancora in là la chiusura dei forni”.

Nella lettera i sindaci entrano nel dettaglio di alcuni conti economici, puntando il dito contro alcune circostanze come l’appalto di Europower:

Da anni sostenevamo che il contratto con la ditta che opera sull’impianto era assolutamente sconveniente per Accam e ci veniva risposto che invece era favorevole; adesso il nuovo business plan certifica che ogni anno vengono corrisposti a questa ditta 6 milioni mentre il costo reale è di soli 2 milioni. 4 milioni ogni anno di “plusvalore” ceduti a terzi e sottratti alla redditività di Accam.

Alcuni soci hanno ricevuto un rilievo della Corte dei Conti che evidenzia , tra l’altro, “l’eccessivo costo medio del personale dipendente (nel 2015) di 64,5 mila euro. Il costo medio è stato già superato nel 2016 (67,5 mila euro) e ampiamente superato nel 2017 con un costo medio di 74,75 mila euro.

C’è poi la questione dei conferimenti dei sindaci e la gestione in house

E poi la fondamentale questione In house: alcuni esperti del settore considerano che già adesso Accam non sia più “in house” , mentre a settembre è stata votata, solo dai soci di maggioranza, una delibera che permette all’azienda di autoconsiderarsi “in house” purché con un fatturato dei soci maggioritario rispetto ai non soci, ossia 51/49 anziché 80/20 come previsto dalla legge.

Ma allora perché il CdA non si attiva per andare a recuperare sul mercato quote di prodotti da smaltire che sicuramente avrebbero ricavi più remunerativi? Mentre se non fosse in House è ovvio che i Comuni non possano conferire senza una gara pubblica.

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Novembre 2018
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