“Basta fango sulle case di riposo”: parla un’operatrice

Dal livello qualitativo dell'assistenza alle difficoltà a gestire l'emergenza. Un racconto duro su un settore che è stato dimenticato a lungo e cha ha pagato un prezzo altissimo

Generico 2018

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un’operatrice in una Residenza Socio Assistenziale amareggiata dalle parole lette sull’assistenza agli anziani. Le lettera è firmata


Lavoro da circa 20 anni in una RSA lombarda e dopo tanto fango sparso sulle prime pagine dei giornali e nelle prime notizie dei Tg vorrei contribuire a riportare verità e dignità in un settore che troppi ormai giudicano con facilità senza conoscerne davvero le dinamiche.

Solo in Lombardia le RSA ( Residenze Sanitarie Assistenziali) ospitano più di 60.000 persone fragili, garantendo ad altrettante famiglie l’unica soluzione possibile al grave problema di assistere e curare un parente fragile, occupando diverse decine di migliaia di differenti figure professionali e offrendo fonte di reddito ad altrettante famiglie: un mondo che pochi conoscono nei numeri e nella sostanza.

Lo stereotipo dell’abbandono dell’anziano – sbandierato con tono accusatorio anche sui social media – è quanto di più falso si possa rimproverare a chi, dopo tanta sofferenza, arriva alla scelta di affidare il proprio caro a Strutture in cui l’incontro di varie professionalità (medici, infermieri, assistenti asa/oss, educatori, psicologi, fisioterapisti…) può garantire la più adeguata cura ed assistenza a soggetti fragili a causa di pluripatologie, demenze a volte con disturbi comportamentali e molto altro.

Il vecchio modello di ospizio con l’acre odore di urina che ti paralizzava all’ingresso, e quello più recente di “casa di riposo”, dove i vecchietti rimasti soli aspettavano la morte giocando a carte, sono completamente superati nella realtà di oggi.

Le attuali RSA accreditate e convenzionate con Regione Lombardia devono rispondere a requisiti molto rigorosi non solo dal punto di vista strutturale, ma anche gestionale ( minutaggi garantiti per ogni attività) e sono sottoposte ad altrettanti rigidi controlli da parte delle autorità competenti. Non si capisce come si siano potute verificare tutte le irregolarità riscontrate e denunciate ultimamente e metterei in guardia dall’errore di includere nella categoria anche strutture abusive, che operano in Italia e all’estero, senza autorizzazioni o controlli.

Le nostre sono oggi strutture medicalizzate, in grado di accogliere anche i molti dimessi dagli ospedali (dei quali è nota la carenza di letti), ancora in gravi condizioni, e non ancora in grado di poter tornare al domicilio.

Questo ruolo fondamentale delle RSA lombarde viene troppo facilmente dimenticato da chi critica ma non conosce i costi di una giornata di ricovero in ospedale, ne il contributo regionale giornalmente garantito ad un ricoverato in RSA, immutato da anni pur crescendo per contro, di mese in mese, gli adempimenti, anche burocratici, e le prescrizioni in ogni settore della nostra attività, sempre più gravata ed appesantita, anche a causa di un’utenza sempre più fragile e compromessa.

Per fortuna ci sono tante strutture eccellenti, con ottimi livelli qualitativi, garantiti  anche grazie alle rette a carico delle famiglie, proporzionate ai servizi resi. Come in tutte le categorie oltre a chi opera bene e con coscienza ci sarà anche chi opera meno bene ( ed andrebbe individuato grazie ai controlli e giustamente sanzionato) ma parlare di lager, di gravi irregolarità, e peggio mi sembra davvero fuori luogo: le accuse generiche rivolte alla categoria comportano una grave violazione della nostra immagine, che deve essere riabilitata anzitutto per rispetto della verità.

E veniamo all’emergenza Covid-19.

Non è mia intenzione polemizzare con Governo centrale, Protezione civile, Regione Lombardia ed Ats. Mi limito solo ad osservare che, fin dai primi report provenienti dall’epidemia in Cina, è apparso evidente quanto le nostre strutture fossero a rischio e dunque particolarmente bisognose di protezione ed indirizzamento, soprattutto a livello preventivo. Non cito le varie dgr regionali, tardive e disorientanti, che tutti possono approfondire. Mi limito solo a ricordare con sofferenza che è stato impossibile per noi, fin dall’inizio dell’emergenza, procurarci dispositivi di protezione, se non per vie tortuose ed a prezzi da sciacallaggio ( e quelli difficilmente procurati ci sono spesso stati  requisiti per destinarli agli ospedali); impossibile avere la disponibilità di tamponi ed esami sierologici, se non in questi ultimi giorni, per monitorare ricoverati ed operatori; impossibile avere farmaci ospedalieri e specialisti e soprattutto impossibile ricoverare i nostri ospiti contagiati ed aggravatisi in ospedale.

Nell’abbandono generale e nella nostra impotenza ci sono stati tanti, troppi morti, morti che ancora piangiamo e che ci hanno profondamente sconquassato e destabilizzato. Non ci sentiamo però responsabili di questi morti, che nei titoli in prima pagina sono spesso stati attribuiti alla nostra negligenza, sia pure in modo implicito.

Solo oggi, a distanza di due mesi dal tragico esordio dell’epidemia, dopo aver incontrato i nostri rappresentanti di settore, a lungo ignorati, Regione Lombardia  si è dichiarata disponibile a definire insieme regole per garantire la tutela sanitaria degli ospiti e degli operatori in vista della riapertura degli accessi e delle attività. In questa occasione l’Assessore alla Sanità ha finalmente riconosciuto che “queste strutture rappresentano un interlocutore fondamentale per la presa in carico delle persone fragili”.

L’emergenza non è oggi certo superata e proseguirà l’obiettivo primario di proteggere ospiti ed operatori dal flagello che ci ha tanto colpito, nell’auspicio di ricevere da qui in poi un maggior sostegno da parte delle Istituzioni e una più corretta visibilità da parte di chi ha troppo superficialmente denunciato i nostri morti spesso imputandoli a nostra negligenza.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Maggio 2020
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