“Fu tutta colpa delle boccette”. Roberto Gervasini campione di atletica per caso

Ha iniziato a correre per evitare l'esame di riparazione di ginnastica. Ha vestito otto volte la maglia della nazionale, è stato campione europeo juniores nei 1500 metri. Nel 1966 si è aggiudicato gli 800 metri e i 1500 nel meeting Italia-Urss all'Olimpico di Roma

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Questa foto è stata scattata nell’autunno del 1966, durante un meeting tra le nazionali giovanili di Italia e Unione Sovietica all’Olimpico di Roma. A tagliare il traguardo della gara dei 1500 metri a braccia alzate – nell’atletica di allora non era un gesto usuale – è il varesino Roberto Gervasini, atleta e campione per caso, come egli stesso ama raccontare. «Nell’ora di educazione fisica io e il mio compagno di scuola Pietro Tallone, all’epoca portiere delle giovanili del Varese Calcio, poi divenuto arbitro internazionale di basket, dicevamo al professore che andavamo ad allenarci per la corsa campestre scolastica, ma appena girato l’angolo ci infilavamo in calzoncini nel circolo di Casbeno per giocare a boccette. Un giorno entrò anche il nostro professore per comprare le sigarette e ci mise alle strette: “O sabato venite a fare la campestre o vi rimando a settembre”».

L’EXPLOIT DEL TALENTO

Gervasini prima di allora non aveva mai disputato una gara di atletica, ma pur di evitare l’esame si presentò puntuale alla partenza. Gli dissero subito di stare a ruota di un tizio, considerato il più forte, e lui eseguì le indicazioni alla lettera anche perché non poteva fare altrimenti. Si incollò al favorito come un francobollo e in prossimità del traguardo lo superò di slancio, andando a vincere la campestre. Quell’inaspettato exploit non passò inosservato, tanto che il giorno dopo lo fecero partecipare al campionato lombardo allievi dove si confrontavano i migliori mezzofondisti della sua categoria in circolazione. Il sedicenne Gervasini, senza un metro di allenamento e con il peso di una campestre ancora nelle gambe, sorprese ancora una volta tutti, classificandosi al secondo posto.
Il suo destino era ormai segnato. Venne ingaggiato dal Cus Pro Patria Milano e alla terza gara in pista, stabilì il record italiano di categoria nei 1500 metri. «Da quel momento ho fatto tre anni da grande promessa» racconta l’ex atleta. A 19 anni, prima della sfida tra Italia e e Urss, dove si era imposto anche sulla distanza degli 800 metri, aveva vinto i campionati europei juniores a Odessa. Il suo nome compare nella lista dei 148 atleti che nella storia gloriosa del Cus Pro Patria hanno indossato la maglia azzurra. Gervasini la indossò ben otto volte.

I CAMPIONI DELL’EPOCA

La sua grande specialità, oltre alla corsa, è l’autoironia. Dice di essere un atleta con il fisico per i 5000 metri e un fiato per i 1500. La verità è che aveva davanti a sé degli autentici mostri sacri del mezzofondo, campioni come Gianni Del Buono e Franco Arese, oro nei 1500 metri agli Europei di Helsinki e due volte semifinalista alle olimpiadi.
 Quando i grandi si ritirano dall’agonismo, la strada per Gervasini sembra ormai spianata, ma a fermare la sua corsa nel 1975, dopo aver vinto i campionati italiani assoluti indoor nella sua specialità, è un brutto infortunio al tendine di Achille.
«Meglio così – dice sorridendo – lo sport agonistico fa male perché si lavora sempre in condizioni esasperate e alla fine il fisico cede, io mi sono fermato prima. Gli unici sport che non fanno male sono quelli dove si sta seduti».

I COMPAGNI DELLA NAZIONALE

Tra i tanti ricordi ci sono quelli condivisi con i compagni di squadra e di nazionale, come Pippo Cindolo, «il più simpatico», e il velocista Sergio Ottolina con cui andava a pescare durante i ritiri in montagna nella ex Jugoslavia. Erano anni in cui al talento non si affiancavano ancora in modo metodico le conoscenze scientifiche, per esempio, nel campo dell’alimentazione, per migliorare le prestazioni. Eppure c’era qualcuno che già allora provava a innovare, introducendo nuove abitudini alimentari per gli atleti. «Il giorno prima di una gara internazionale eravamo in un ristorante dove c’erano tutti i campioni del momento – racconta Gervasini – Ricordo che Pippo Cindolo si fece portare una bistecca con patatine. Accanto a lui era seduto Lasse Virèn, mezzofondista finlandese, che invece ordinò un piatto di spaghetti in bianco. Poi con nonchalance tirò fuori dalla borsa una confezione di marmellata e la spalmò sulla pasta. Tutti lo guardammo con stupore e un po’ di disgusto. Virèn vinse ben quattro ori olimpici». Tra i grandi innovatori nella preparazione atletica ci fu un altro varesino eccellente scomparso nel 2015: il professor Enrico Arcelli. «Era avanti anni luce – sottolinea Gervasini – un grande fisiologo con una preparazione multidisciplinare a cui tutto lo sport deve molto. Ricordo ancora quando suggerì a Cindolo, in vista di una maratona, di portare con sé una banana. Ora sembra scontato, nel 1971 non lo era affatto».

ALBERTO COVA VOLEVA ANDARE FORTE QUANTO LUI

Quando Gervasini decide di smettere con l’agonismo, nel panorama dell’atletica leggera si fa largo un certo Alberto Cova, un motore perfetto per i 5 mila e i 10 mila metri. Anche il futuro oro olimpico a Los Angeles 1984 viene ingaggiato dal Cus Pro Patria Milano. «Durante una campestre regionale – ricorda Gervasini – avevo vinto con un distacco di 50 metri sul secondo. Tra gli spettatori c’era anche Alberto Cova che doveva correre nella categoria juniores. Molto tempo dopo, ci incontrammo nel vecchio campo di allenamento e mi confidò un suo pensiero: “Bobo, quella volta, vedendoti vincere con tanta facilità mi sono chiesto se un giorno sarei stato capace di andare così forte”. Alberto è andato molto più forte di me e all’arrivo alzava sempre le braccia al cielo».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 26 Novembre 2021
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