Caro energia: l’industria varesina stringe i denti, ma non c’è più tempo

Roberto Grassi (presidente di Univa): "Ci sono aziende che stanno già valutando la chiusura dell’attività produttiva nonostante gli ordini. Il Governo deve intervenire subito con l'abbattimento delle componenti fiscali e parafiscali"

«Non c’è più tempo». Roberto Grassi, presidente dell’Unione industriali della provincia di Varese, lo ripete più volte con decisione, dimenticando per una volta quell’aplomb che da sempre lo contraddistingue. Questa conferenza di inizio anno degli industriali rischia di essere ricordata a lungo perché rappresenta uno spartiacque nella storia industriale della provincia di Varese. Il rincaro esponenziale dei costi dell’energia ha infatti toccato livelli insostenibili per il sistema manifatturiero. E se la situazione si protrarrà per troppo tempo, le imprese, soprattutto quelle energivore, non avranno più alcun interesse a produrre perché non hanno più margine.

Paola Margnini, responsabile dell’Ufficio studi di Univa, apre uno spiraglio positivo mostrando i dati del 2021 in netta crescita, ma avverte immediatamente che si tratta «di una ripresa a strappi e a strozzo». Certo, l’industria del territorio lo scorso anno ha fatto recuperi importanti: il 62% delle imprese ha dichiarato livelli produttivi in crescita, con un aumento medio annuale del grado di utilizzo degli impianti pari al 78,9% e una riduzione del ricorso agli ammortizzatori sociali del 37,6% rispetto al 2020. Un andamento positivo suggellato dagli investimenti confermati dal 79% delle imprese intervistate, di cui il 27% in beni immateriali (ricerca e sviluppo) e il 47% in ampliamento delle capacità produttive. Rimane però un’ombra che si allunga sempre di più sulle prospettive di questa crescita.

L’AUMENTO DEI PREZZI E GLI ALTRI PROBLEMI 

«Nella tarda primavera del 2021 si sono manifestati elementi critici importanti – spiega Paola Margnini -L’aumento dei prezzi delle materie prime e dei noli marittimi, che hanno toccato trasversalmente tutti i settori, e le conseguenti difficoltà di approvvigionamento. Oggi però ci troviamo di fronte a una situazione ancor più pericolosa determinata dall’aumento dei costi energetici».
Le difficoltà produttive non si sono manifestate ancora in tutta la loro portata. Insomma, il peggio deve ancora venire. Le imprese fino ad ora, stringendo i denti, hanno fatto da cuscinetto e assorbito rialzi consistenti per mantenere gli ordini. Ma quanto resisteranno? Una risposta non c’è, ma più si aspetta a intervenire per calmierare i prezzi dell’energia e più aumenta il rischio che il sistema imploda.

LA VARIABILE TEMPO

La variabile tempo è dunque determinante in questa fase e da qui nasce il senso dell’urgenza di Grassi. «Le aziende medio-piccole non hanno la possibilità di scaricare a valle questo aumento e consegnare i prodotti ai clienti – spiega il presidente di Univa -. Il rischio reale è che non abbiano più interesse a produrre. Ci sono aziende che stanno già valutando la chiusura dell’attività produttiva nonostante gli ordini. Se il Governo non interviene diventerà un problema sociale».
A gennaio la produzione industriale ha già subito un calo del 2,3% e siamo solo all’inizio. All’ultimo consiglio generale di Univa ha partecipato anche Aurelio Regina vicepresidente di Confindustria con delega all’energia, una presenza importante perché su questa partita i vertici di viale dell’Astronomia sono stati sentiti dal Governo. «Le nostre proposte – sottolinea Grassi – sono chiare e praticabili: raddoppiare la produzione italiana di gas e allocarla all’industria a costi inferiori rispetto a quelli di mercato. Aumentare l’apporto di gas che arriva dalla Tap, gasdotto trans-adriatico, e la produzione da fonti rinnovabili. Infine, intervenire con maggiore incisività sulle componenti fiscali e parafiscali delle bollette energetiche. In Italia c’è un evidente problema di politica energetica nel medio e lungo periodo».

L’IPOTESI DELL’AUMENTO DELLA PRODUZIONE INTERNA DI ENERGIA

Nel 2020 l’Italia ha prodotto poco più di 3 miliardi di metri cubi di gas, su un fabbisogno totale di circa 70 miliardi. E Pensare che nel 2000 la produzione italiana ammontava a quasi 17 miliardi di metri cubi. Le vie quindi ci sono e sono anche praticabili, ma la strada più breve per dare respiro alle imprese è proprio l’ultima, mentre più difficoltosa, per i tempi lunghi richiesti e per gli investimenti necessari, è quella che spinge verso l’aumento della produzione di gas nostrano. 
«Ci vorrebbe un intervento del governo – aggiunge Marco De Battista, coordinatore aree economiche di Univa – come è avvenuto in Francia e in Germania dove è stato previsto un abbattimento delle componenti fiscali e parafiscali dell’85%».
Secondo i dati di Univa, il costo dell’energia si ridurrà a partire dal 2023, ma non si tornerà ai prezzi del 2019, bensì al doppio di quei livelli. Come dire: quello che stiamo attraversando non è un semplice imprevisto, bensì un fenomeno destinato a diventare strutturale.

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Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 14 Febbraio 2022
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