Il Ciclista della memoria e il dramma degli amici in Ucraina e Russia. “Ivan è morto nella prima domenica di scontri”
Giovanni Bloisi nel 2019 aveva percorso in bici 2700 km tra i due Paesi, sulle tracce dei soldati italiani e della "ritirata di Russia". Oggi assiste a una nuova guerra che divide le persone
Da custode della memoria si è ritrovato nel mezzo di una nuova guerra: Giovanni Bloisi – il “ciclista della memoria” protagonista di tanti viaggi – oggi ha il cuore diviso tra Ucraina e Russia. Non parla dei governi, di Zelensky e di Putin, delle ragioni e dei torti: parla degli amici che abitano quelle terre, persone comuni con un volto e una storia.
«Certo, in questi giorni sto male. Ho amici dalle due parti, alcuni sono già morti» racconta Bloisi. Che ha cercato in questo mese o poco più di continuare nel lavoro degli anni scorsi: salvaguardare la memoria come strumento di pace e fonte di solidarietà, anche attiva. Bloisi nel 2019 è stato nella terra tra i fiumi Dnipro e Don, tra Ucraina e Russia. Un viaggio sulle tracce dell’Armir, l’armata italiana inviata in Russia nel 1941, nell’insensata avventura del governo fascista finita con una tragica ritirata nelle settimane tra dicembre 1942 e gennaio 1943.
A cavallo della sua bici, il ciclista di Varano Borghi nel 2019 aveva percorso 2700 km, fino a Mosca.
Un’avventura fatta di luoghi ma soprattutto di rapporti umani, spesso a contatto con persone semplici, quelle dei villaggi ucraini o russi dove è stato accolto con curiosità, a volte sfamato, a volte curato.
Fin dal primo giorno di questo conflitto nell’anno 2022, Bloisi ha contattato i suoi amici in Ucraina, la maggior parte dei quali stavano appunto a Est del fiume Dnipro, nella fascia più vicina alla Russia. «Ivan faceva l’autista: è morto a Kharkiv nel primo lunedì di guerra, mentre andava a portare un carico di Molotov. La sorella ha trovato nelle sue tasche il cellulare, ha visto le mie chiamate senza risposta e mi ha chiamato».
La foto di Ivan (che apre questo articolo) è tra le centinaia scattate durante il viaggio del 2019: un selfie ai margini di un boschetto, dietro si vede una pista sterrata. «Povero Ivan: quel giorno – dice tornando con la mente al 2019 – mi ero perso, lui passava di lì con la sua Lada: mi aveva accompagnato verso la frontiera dopo che avevo sbagliato strada».
Altra foto e altra storia: «Oleg è ancora vivo, abita a Sumy (città di 270mila abitanti a 40 km dal confine, ndr). L’ho anche aiutato economicamente, gli ho mandato dei soldi per sopravvivere». Anche Oleg, una persona comune, ha partecipato alla resistenza contro l’esercito invasore: «Alla prima domenica di guerra, alla mattina, hanno fatto prigionieri dieci soldati russi. Due gli hanno detto che avevano sedici anni, gli hanno detto “stiamo facendo una esercitazione”, lui quei due li ha rimandati indietro, anche se i suoi compagni si sono opposti. Ora Oleg e la sua famiglia sono rintanati in una cantina usata come bunker».
Bloisi e Oleg nelle campagne tra Sumy e il confine russo, estate 2019Cercando un dialogo con i russi
Il viaggio del 2019 è iniziato in Ucraina, ma poi tanta parte del percorso è stato in Russia: come vivono la guerra dall’altra parte?
«Sono rimasto in contatto con molti amici russi: molti facevano parte di un gruppo di rievocazione della Seconda Guerra Mondiale» spiega Bloisi. «Venerdì mattina, il 25 febbraio, ho scritto nella chat di gruppo: “non facciamo la guerra, facciamo la pace”. Mi hanno bloccato. Ma prima mi hanno scritto che ero vittima di una dittatura democratica e che non sapevo la verità».
Il racconto di Giovanni Bloisi però non vuole giudicare, prova a guardare la percezione di quelli che stanno in Russia: «Io ho ragionato: ho pensato al fatto che ho usato la parola “guerra”, una parola che li ha fatti scattare in modalità di autodifesa, perché da loro è negata. Non sanno quanto sta succedendo e tutti, anche nei messaggi privati che ci siamo scambiati dopo, ripetono la stessa frase: “la Russia è andata in Ucraina per liberarla dai nazisti”. Mi spiace si comportino così, non possono fare altrimenti perché vedono solo le cose come le raccontano di là».
Memoria e solidarietà
Il “ciclista della memoria” nel 2019 era andato in Russia sulle tracce dei soldati italiani, allora mandati dal fascismo a invadere l’Unione Sovietica: i suoi sono viaggi di pace, anche per costruire ponti tra i popoli, sanare ferite.
Oggi guarda con dolore a quanto accade. «Ci saranno anche torti e ragioni da entrambe le parti, ma il dato di fatto è che oggi c’è una guerra in Europa».
Resta la solidarietà, come risposta individuale possibile. Ed è qui che anche Giovanni Bloisi – in attesa di ripartire a metà maggio per il terzo anno di viaggio sulle tracce delle vittime del nazifascismo in Italia – ha voluto fare la sua parte, facendo da contatto per accogliere rifugiati.
La storia più bella è quella di Irina, «una ragazza ucraina di Dnipro che mi aveva aiutato e che era incinta quando un mese fa è iniziato tutto».
Al momento dell’invasione russa Irina è fuggita verso l’area dei Carpazi, al confine con Polonia e Romania. «Sono stati in un piccolo albergo e poi li abbiamo portati fino a Saronno. Con gli amici di Anpi Saronno l’abbiamo accolta e inserita a Bollate, dove ora vivono. La bambina intanto è nata, all’ospedale di Garbagnate: si chiama Nicol».
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