Denuncia l’ex datore di lavoro: per anni apostrofato come “kosovaro“
L’uomo, 35 anni, due figli e in fuga dalla guerra non aveva il coraggio di ribellarsi. Poi l’esposto anche per “maltrattamenti in famiglia”
Due figli da crescere e la fuga dalla guerra. Dunque, pochi voli pindarici e la necessità di uno stipendio a fine mese per soddisfare i bisogni della famiglia. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Anche se il tuo capo ti sta con il fiato sul collo e ti sottopone a continue angherie verbali per denigrarti, dicendoti «kosovaro del c…», oppure «tornatene al tuo Paese, sotto le bombe», esattamente da dove eri scappato ai tempi del conflitto balcanico.
Poi, intravista una via d’uscita, la decisione di denunciare e la battaglia legale per evitare l’archiviazione richiesta dalla Procura. Il giudice per l’udienza preliminare di Varese si è oggi riservato la decisione, dopo l’impugnazione del difensore della parte offesa, l’avvocato Maurizio Domanico, che all’epoca presentò un esposto contestando un episodio specifico legato a una minaccia aggravata per un bisticcio, in cui l’imprenditore avrebbe impugnato un martello davanti a un testimone, e al “maltrattamento in famiglia“.
Una fattispecie giuridica atipica a prima vista, poiché normalmente relativa a vicende che riguardano il contesto familiare o a soggetti sotto la cui responsabilità ricadono minori (come in ambiente scolastico); ma che, sul piano della giurisprudenza, ricomprende anche i piccoli contesti lavorativi, dove il «capo» e i dipendenti sono pochi e lavorano spesso fianco a fianco (un caso analogo fu discusso a Varese tempo fa, in relazione alla condotta di lavoro di un ristoratore nei confronti di una cameriera in un piccolo esercizio commerciale delle valli).
Esattamente il caso in questione, legato a una piccola azienda di riparazioni tetti attiva in Valcuvia, dove il rapporto lavorativo, instaurato diversi anni fa, ha visto fiorire, secondo la denuncia, vessazioni continue. L’avvocato del lavoratore, 35 anni e con una famiglia da mantenere, insiste: «Va considerata non solo la minaccia aggravata, ma anche il maltrattamento in famiglia subito dal mio assistito».
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