“Chi Town”, la storia-documentario sul nuovo play di Varese, Keifer Sykes
Cresciuto a Chicago, il giocatore è protagonista di un docu-film di Nick Budabin per Prime Video, non distribuito in Italia. Ce lo racconta Francesco Brezzi
(d. f.) Una vita da film, meritevole di un documentario completamente dedicato alla prima parte della sua parabole sportiva e umana. Keifer Sykes, il nuovo playmaker della Openjobmetis, è il protagonista di “Chi-Town”, pellicola uscita nel 2018 e distribuita negli USA da Prime Video. In Italia il film non è disponibile; Francesco Brezzi lo ha visto e recensito per i lettori di VareseNews alla vigilia dell’esordio di Sykes con la maglia biancorossa. Un contenuto di qualità che siamo lieti di proporvi.
L’approdo di Keifer Sykes nel back court della Pallacanestro Varese può risultare per tanti tifosi l’ennesimo nome che va a riempire una casella lasciata tristemente vuota dall’addio di Nico Mannion, volato verso lidi indubbiamente più stimolanti rispetto all’attualità.
Lasciando però momentaneamente al campo, unico giudice imparziale, quello che il nativo di Chicago potrà darà alla squadra, per chi nutre
passioni cosiddette trasversali il suo approdo al di qua delle Prealpi suscita sicuramente ben più che una semplice suggestione.
Kiefer, infatti, al di là del suo aspetto da “uomo normale” (dall’alto del suo metro e ottanta per 79 chili), porta con sé il famoso “american dream” di chi è cresciuto, ultimo di otto fratelli, in un quartiere particolarmente complicato della Wind City (nel West Side della città). Il basket giocato è per il ragazzo il miglior investimento possibile per restare fuori dai guai. Una storia come tante, vero. Se non fosse che a tradurla in immagini (sino a diventare un docu-film molto apprezzato oltreoceano e non solo) ci abbia pensato il regista e produttore Nick Budabin, newyorchese con la grande passione per la palla a spicchi.
Girato nell’arco di diversi anni, il documentario unisce filmati d’archivio e nuove riprese, mostrando l’ascesa di Sykes come playmaker (dai suoi esordi alla John Marshall High School, poi gli anni dell’università a Green Bay a Phoenix) e il suo impatto sulla comunità. Nonostante le difficoltà — tra cui un grave infortunio e la perdita di persone care — il film trasmette un messaggio di speranza, rappresentando la resilienza e il sogno di un giovane determinato a cambiare il proprio destino.
In un contesto sociale a dir poco difficile, dove essere nel posto sbagliato al momento sbagliato può costare davvero caro (leggi migliore amico e coach costretti sulla sedia a rotelle a causa di ferite da arma da fuoco), Kiefer – che ha avuto figli giovanissimo – trova proprio nella famiglia una motivazione fortissima per coltivare i propri sogni nel modo del basket. Nonostante una chiamata NBA che non arriva al draft (rappresentata nel documentario da una bellissima scena con tutta la famiglia e gli amici riuniti a casa Sykes sperando fino all’ultimo in una chiamata al secondo giro), ma arriverà dopo – da parte degli Indiana Pacers – dopo un bel po’ di gavetta in giro per il mondo.
Proprio la stabilità famigliare, come più volte sottolineato nel documentario, ha garantito a Kiefer quella stabilità necessaria per mantenere il focus sui propri obiettivi, e nonostante la perdita improvvisa del padre che per il playmaker di Chicago era un vero e proprio punto di riferimento. Nel documentario sono narrati in modo molto diretto e tangibile i sacrifici quotidiani per bilanciare carriera e famiglia, basti pensare ai vari “tryout” nella Summer League della G League della NBA con figlioletto (KJ, avuto a soli sedici anni) al seguito.
Una determinazione che però, vista la taglia “undersize”, non lo porta ad ottenere un contratto tra i PRO, ed allora altri sacrifici, senza perdersi d’animo, ed inizia la sua carriera in Europa, che decolla poi nel nostro Paese, ad Avellino, grazie al fortuito abbandono della squadra irpina da parte di Norris Cole: lì Kiefer esplode, letteralmente: ed il resto è storia.
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