Il carcere di Varese dimenticato. “Negli ultimi anni niente e all’orizzonte il nulla”
La morte di un detenuto e le proteste ai Miogni riaccendono l'attenzione sul carcere "dimenticato", ufficialmente dismesso dal 2001. Il Pd: "Non sono previsti investimenti, dal governo solo slogan"

La morte di un detenuto e le proteste ai Miogni riaccendono l’attenzione sul carcere di Varese “dimenticato”: una struttura dichiarata dismessa nel 2001, da allora senza investimenti strutturali.
Sulla vicenda torna il Pd di Varese Città: «La cronaca dimostra che nei penitenziari italiani si muore, non di solo suicidio, ma anche per carenze sanitarie» dice Manuela Lozza, segreteria dem della città giardino. «La situazione è vergognosa, indegna di un Paese del G7. Il sovraffollamento e la mancanza di servizi basilari sono intollerabili per chiunque abbia senso civico, o semplicemente umanità. Ma non per questo Governo, a cui dei detenuti e delle loro famiglie non importa assolutamente nulla».
«Qui a Varese poi, investimenti non ne sono previsti: negli ultimi anni niente e all’orizzonte il nulla. L’unica cosa che si è vista sono le inutili sfilate di esponenti del Governo e i soliti inutili slogan. Ma la campagna elettorale è finita da tempo e i detenuti e le detenute continuano a morire nell’indifferenza dell’esecutivo. Anche il DL sicurezza perde l’ennesima occasione per rendere accettabile le condizioni di vita nelle nostre carceri».
L’ultima discussione in qualche modo pubblica risale allo scorso anno, con l’annuncio di due mosse dalle file parlamentari della maggioranza – degli onorevoli Candiani e Pellicini – che avevano riacceso il dibattito sul futuro della struttura carceraria a servizio della zona di Varese (il Basso Varesotto invece fa riferimento al carcere di Busto Arsizio).
«Come Partito Democratico, ribadiamo che a ogni uomo e donna devono essere garantiti i diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla salute, e che condizioni di vita indegne sono terreno fertile per la criminalità, aumentano il rischio di recidiva e di certo non permettono nessun percorso riabilitativo: occuparsi delle persone in carcere vuol dire curare la nostra società» conclude Lozza.
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