«Per vent’anni sono rimasto in silenzio. Ora nessuno può fermarmi»: la testimonianza di un orfano di femminicidio
La testimonianza di Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio, che dopo vent’anni di silenzio trova la forza di parlare e battersi per i diritti degli orfani speciali con il progetto Respiro e l’Associazione Olga

Per vent’anni non ha parlato. Non per paura, ma per sopravvivenza. «Non avevo la forza né i mezzi per affrontare un dolore così devastante». Figlio di una donna uccisa dal marito, Giuseppe Delmonte oggi adulto, ha trovato la sua voce grazie a un percorso psicoterapeutico che gli ha “letteralmente salvato la vita”.
Quando aveva 19 anni, Delmonte si è ritrovato a vivere come orfano di femminicidio: la madre, Olga Granà, fu uccisa il 26 luglio 1997 ad Albizzate dal marito da cui era finalmente riuscita a separarsi dopo anni di violenze.
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«Non ho mai avuto un sostegno psicologico da ragazzo, non me lo potevo permettere. Per caso, da adulto, ho iniziato una terapia. Prima di pensare a una relazione, dovevo chiudere con il passato. Solo allora sono riuscito a respirare di nuovo». Così Giuseppe Delmonte si racconta a Materia Spazio Libero mercoledì 24 settembre, affiancato dalla proiezione del film documentario “Oltre La Grande Assenza” girato da Marco Radice, presentati da Mariangela Gerletti.
A distanza di anni, ha trovato il coraggio di rivolgere al padre una domanda diretta: «Ti sei reso conto che mi hai rovinato la vita?». La risposta non è mai arrivata. «Ha tergiversato, ha provato ancora a manipolarmi. Non è pentito. Non abbiamo più nulla da dirci. Per la prima volta, però, è stato lui ad abbassare lo sguardo. In quel momento ho chiuso le porte del passato: finalmente libero, pronto ad affrontare il dolore e a parlarne».
L’impegno di Giuseppe Delmonte è oggi quello di portare un messaggio chiaro: gli orfani di femminicidio hanno bisogni speciali. «Un terzo di loro ha assistito all’omicidio della madre, spesso uccisa dal padre. Sono bambini che non compaiono in nessun censimento, lasciati in balia di istituzioni che non dialogano tra loro. Non hanno le stesse opportunità degli altri: sono i bambini con il “meno davanti”».

Molti vengono affidati a nonni o zii. Ma spesso si tratta di famiglie distrutte dal dolore: «I nonni sono genitori a cui è stata uccisa una figlia. Come possono garantire serenità se non hanno neanche avuto il tempo di elaborare il lutto? Loro sono condannati all’ergastolo del dolore, mentre l’assassino può chiedere la grazia al Presidente».
Attraverso l’Associazione Olga, il suo impegno arriva anche in Parlamento: dal 2018 in Italia esiste una legge che riconosce i diritti degli orfani di femminicidio, con un sostegno economico di 300 euro al mese. «Ma è necessario fare richiesta, finché la richiesta non arriva l’orfano speciale, oggi orfano di femminicidio, non esiste. Gli interventi non sono immediati, arrivano solo se richiesti. Un bambino non può aspettare sei mesi per essere aiutato. Il giorno stesso serve una squadra di professionisti che prenda in carico non solo lui, ma tutta la famiglia. Invece, troppo spesso, non accade».
Dalla sua esperienza nasce Respiro, un progetto che vuole intervenire subito. «Una bambina di nove anni mi ha detto: “Quando penso a mia mamma, mi manca il respiro”. Da lì il nome. Vogliamo restituire aria, vita, speranza a questi ragazzi».

Il lavoro non riguarda solo l’assistenza, ma anche la prevenzione. «Nelle scuole racconto la storia di mia madre, che aveva sottovalutato i campanelli d’allarme, così che i ragazzi li possano riconoscere: se li intercetti subito, è più facile non cadere nel tunnel della violenza. Il femminicidio è solo la punta dell’iceberg: c’è la violenza psicologica, il controllo, la manipolazione».
Nonostante i limiti, l’Italia è l’unico Paese europeo con una legge sugli orfani di femminicidio. «Ora dobbiamo portare la battaglia a Bruxelles. Per una volta possiamo essere capofila, non fanalino di coda».
La sua missione è chiara: rompere il silenzio. «Gli orfani di femminicidio non devono restare invisibili. Hanno diritto a un supporto immediato e a un futuro diverso. Io per vent’anni ho taciuto, ma adesso la mia voce è per loro. Ora non mi ferma più nessuno».

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