Suor Giovanna lancia un nuovo appello dalla Cisgiordania: “Questo non far nulla ci rende complici”
La religiosa vive nella comunità della Piccola Famiglia dell' Annunziata di Ma'in, vicino al confine con la Cisgiordania

Un nuovo appello, disperato, lanciato da Suor Giovanna della comunità della Piccola Famiglia dell’ Annunziata di Ma’in, vicino al confine con la Cisgiordania. (foto da Medici Senza Frontiere)
Appello al cuore di tutti i fratelli e le sorelle
Perdonatemi se vi scrivo ancora — è la terza volta. Ma lo faccio con il cuore sempre più pesante. Le notizie che arrivano sono ogni giorno più dolorose, più atroci.
Ieri sera Netanyahu ha approvato un nuovo attacco su Gaza, per “distruggere tutto”.
Io non ce la faccio più a restare ferma.
La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti — questo non fare nulla — ci rende complici.
Complici di un genocidio.
Mi è stato detto più volte: “Tanto non serve a nulla”.
Ma questa frase è intrisa di una rassegnazione che non possiamo più permetterci.
È un grido disperato che paralizza ogni possibilità di agire.
E invece dobbiamo credere che ogni gesto di verità, ogni preghiera pubblica, ogni appello sincero possano rompere l’assuefazione, risvegliare le coscienze — e forse anche spingere chi ha potere a muoversi.
Non possiamo cedere alla logica dell’impotenza.
Non possiamo tacere.
Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente.
Non mi do pace al pensiero che da parte delle comunità religiose non sia nata alcuna iniziativa concreta.
Forse perché ci siamo abituati a pensare che la testimonianza debba essere “interiore”, “silenziosa”, “nascosta”.
Ma oggi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, non c’è nulla di più scandaloso del silenzio religioso.
Forse si teme di “esporsi troppo”, di “entrare nel politico”, di “rompere gli equilibri”…
Ma non può esserci neutralità davanti a un genocidio.
O si è complici, o si sceglie la verità.
E oggi, la verità urla dalle macerie di Gaza.
Decine di migliaia di morti, bambini mutilati nel corpo e nell’anima, ospedali distrutti, famiglie cancellate.
Tutto questo accade nel silenzio — o nella complicità — di molti poteri, anche religiosi.
Non basta più dirsi “in preghiera”.
Non basta condannare “la violenza in generale”.
Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato?
Dove sono le nostre comunità, le nostre diocesi?
Dove sono le parole profetiche? Dove sono i gesti concreti?
La Chiesa non è una un’organizzazione fra le altre, né un’istituzione neutrale: è il Corpo di Cristo.
E allora, forse è arrivato il momento di mettere il nostro corpo accanto a quello crocifisso dell’umanità.
Non possiamo restare lontani dal pianto degli innocenti.
Vi supplico ancora di prendere contatto con le comunità sorelle, con altre comunità religiose.
E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l’unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi, e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo.
A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele,
che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento.
E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: di andare a Gaza, di condannare pubblicamente Israele, di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio.
Stiamo lì, giorno e notte, a leggere i salmi e il Vangelo.
Se la nostra arma è la preghiera, allora è il momento di usarla in modo visibile.
Ma se a qualcuno avesse una idea migliore ben venga , ma non possiamo rimanere tranquilli nei nostri conventi.
Forse anch’io mi sento stanca, scoraggiata, delusa.
Ma la mia coscienza non mi lascia in pace.
E un giorno i nostri figli — o i bambini sopravvissuti di Gaza — ci chiederanno: «E tu, dov’eri?»
Vi prego: fate girare questa lettera a tutti i fratelli e le sorelle e anche alle comunità sorelle.
Pregate per me
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