Marco Balzano e il suo “Bambino”, una riflessione sui confini e sul male

Dopo il Sudtirolo/Alto Adige in "Resto qui", il nuovo romanzo torna sul confine, a Trieste. Raccontata nel suo passaggio più duro, la Seconda Guerra Mondiale. La presentazione a Materia Spazio Libero

Marco Balzano Bambino

Materia Spazio Libero ha accolto, giovedì 9 ottobre, la prima serata del Festival Fondamentali, rassegna promossa dal Comune di Varese – assessorato alla Cultura per riportare al centro i diritti attraverso la letteratura e l’editoria. A introdurre l’incontro è stato Marco Giovannelli, direttore di VareseNews, che ha sottolineato come il festival nasca per affrontare, a partire dai libri, le questioni fondamentali del nostro vivere comune.

Protagonista della serata è stato lo scrittore Marco Balzano, ospite per presentare il suo romanzo “Bambino”, edito da Einaudi, in dialogo con Stefano Catone di People Editrice.

Catone ha introdotto l’autore ricordandone i successi – dal Premio Campiello vinto con L’ultimo arrivato al successo di Resto qui, finalista al Premio Strega – sottolineando la centralità, nella sua scrittura, dei temi dell’identità e dei confini. Con “Bambino”, ambientato a Trieste nella prima metà del Novecento, Balzano racconta la parabola di Mattia Gregori, soprannominato appunto “Bambino”: un giovane che, travolto dalla violenza del fascismo, si ritrova dentro un percorso di ambiguità, contraddizioni e ricerca personale.

«Per me “Resto qui” e “Bambino” formano un dittico – ha spiegato Balzano – perché entrambi parlano del confine orientale, una delle pagine più rimosse della nostra storia. Prima della dittatura i confini erano luoghi di scambio e di ricchezza; con il fascismo diventano invece linee segnate col sangue degli altri».

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Balzano ha descritto Mattia come un «fascistello qualunque», non un gerarca né un uomo di potere, ma un giovane che si illude di poter sfruttare il sistema e finisce invece inghiottito da esso. La sua violenza, ha chiarito l’autore, «non è mai narrata con compiacimento, ma evocata: viviamo già immersi in immagini violente, io volevo che fosse il lettore a immaginare».

Al centro della vicenda anche il rapporto complesso con il padre orologiaio, antifascista non militante, e la costante ricerca di una madre mai conosciuta, elementi che rendono il protagonista più umano pur nella sua deriva. «La domanda che mi sono posto – ha aggiunto Balzano – è cosa facciamo di chi sceglie la parte sbagliata della storia: lo escludiamo per sempre o proviamo a riconoscergli un orizzonte di umanità?».

Amore, guerra e vendetta

Il romanzo, diviso in quattro parti, attraversa le tappe della formazione di Mattia: la scuola, l’arruolamento nelle camicie nere, la campagna di Grecia e Albania, l’incontro con una donna che ne segna un’improvvisa e fragile trasformazione. «Finché è innamorato – ha raccontato Balzano – non fa più nulla di male. L’amore, come insegna Aristotele, è una forza che depotenzia il pensiero del male».

Accanto alla dimensione intima, il libro restituisce la violenza dei regimi che hanno attraversato Trieste: fascismo, nazismo, la breve dominazione della Jugoslavia titina nella sua fase stalinista. Un contesto che Balzano ha ricostruito come “laboratorio di storia europea”, capace di mostrare come l’odio e la vendetta si alimentino a vicenda.

Letteratura e scuola: un ponte necessario

Nel finale dell’incontro, Catone ha chiesto a Balzano di soffermarsi sul rapporto tra letteratura contemporanea e scuola. «Non è vero che i giovani non leggono – ha risposto l’autore – ma serve dare loro buone ragioni per farlo. Più che giudicare gli studenti, occorre formare gli insegnanti, investire sulla scuola e dare spazio agli autori contemporanei. È una questione politica, non solo educativa».

La serata si è conclusa con le domande del pubblico e con un lungo applauso all’autore, che ha salutato i presenti invitando a considerare i confini non come barriere, ma come luoghi di incontro e di conoscenza, di trasformazione. «Dovremmo iniziare a dire che identità è una parola che non è umana, cioè non rispecchia noi. Identità è una parola statica, cioè è idem. O tu sei idem con me, sei stesso, medesimo, o se non sei idem, sei altro e quindi potenzialmente nemico».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 09 Ottobre 2025
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