“Non è vero che le vacche sono diventate carnivore”

Si è svolto martedì un affollattissimo convegno sulla Mucca Pazza presso la Facoltà Statale di Agraria

L’emergenza sanitaria di questi ultimi mesi, l’epidemia da Encefalopatia Spongiforme Bovina (Bse), comunemente chiamata "Mucca pazza", è stata oggetto di un affollatissimo convegno organizzato da Obiettivo Studenti tenutosi martedì 13 presso la facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano.

Prestigiosi i relatori intervenuti: anzitutto il professor Cocucci, preside di Agraria, che ha introdotto i lavori; poi il prof. Orso Bugiani (primario di Neuropatologia all’ Istituto Besta di Milano) che ha descritto cosa sono la Bse e la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJ) e come il morbo sia stato trasmesso attraverso le varie specie fino all’uomo; è invece toccato al dottor Claudio Caggioni, direttore dell’APA di Bergamo, illustrare il punto di vista degli allevatori; infine il professor Giuseppe Succi (Direttore dell’Istituto di Zootecnia della facoltà di Agraria) ha fatto il punto della situazione sottolineando le imprecisioni che spesso vengono fatte quando si parla di questo argomento soprattutto a livello di mass-media.

La prima parte dell’intervento del prof. Bugiani è servita a spiegare come e dove si origina la Bse: la malattia insorge a causa di una proteina, il prione, presente nelle sinapsi delle cellule del sistema nervoso; il prione in condizioni normali svolge una funzione antiossidante (anche se questa non è ancora del tutto nota), ma puo’andare incontro ad una mutazione strutturale che è alla base della Bse. Il prione modificato infatti non è totalmente digeribile, quindi la struttura che rimane si accumula all’interno delle cellule e le porta alla morte; la malattia, che è letale per l’organismo colpito, si manifesta con i ben noti problemi, difficoltà di postura e di movimento, ma anche con problemi legati alla vista ed alla anomala eccitabilità del sistema nervoso. Questi sintomi sono simili a quelli che si avvertono anche nella variante umana della Bse, la sindrome di Creutzfeldt-Jakobs, una malattia già conosciuta da tempo che colpisce ogni anno in Italia una cinquantina di persone: è bene notare quindi che questo morbo non è sempre derivante dalla "mucca pazza". Il prof. Bugiani ha infine ricordato qual è stata l’origine della Bse: la malattia nacqua nel Regno Unito quando gli allevatori modificarono la dieta delle vacche da latte per aumentarne la produttività; queste vennero nutrite con farine di carne ricavate anche da carcasse di pecore colpite da "scrapie", la variante ovina della Bse. Ciò rese possibile (contro ogni previsione ricorda Bugiani) l’insorgere del morbo anche tra i bovini.

Il secondo relatore è stato il dottor Caggioni che ha proiettato alcuni grafici riguardanti la diffusione della Bse sia in Gran Bretagna che nel resto d’Europa; da questi è emerso che l’unico paese in cui la malattia è in crescita è l’Irlanda: Caggiani ha quindi commentato polemicamente questo fatto, ricordando che talvolta la pubblicità inganna il consumatore promuovendo la carne proveniente da quel paese. Il direttore dell’Apa di Bergamo (l’Associazione di categoria degli allevatori) ha poi segnalato le proposte fatte dal proprio sodalizio per un miglior controllo del bestiame, ovvero la creazione di un’anagrafe bovina molto precisa, l’introduzione di un test da farsi sul bovino vivo (test che non è ancora stato messo a punto) e l’avvio di un’autocertificazione che attesti l’uso esclusivo di mangimi a norma di legge.

Il relatore infine ha espresso la necessità della formazione di forti associazioni di consumatori capaci di svolgere un’ adeguata azione di controllo, così da affiancare lo Stato in questa opera; inoltre associazioni di questo tipo servirebbero, sempre secondo Caggioni, a collegare produttori e consumatori in maniera più diretta e a limitare l’influenza talvolta negativa del settore distributivo.

Il terzo intervento è stato quello del professor Succi che ha parlato in primis delle farine animali, distinguendo quelle "di carne", che sono effettivamente a rischio data l’estrema variabilità della loro composizione, dalle altre farine di origine animale alcune delle quali sono in uso negli USA da oltre un secolo senza controindicazioni (sono state citate ad esempio la farina di aringhe e quella, curiosa, di piume idrolizzate). Succi ha poi precisato che non è vera l’affermazione secondo cui le vacche sono state trasformate in "carnivore" con l’assunzione delle farine animali: una razione limitata a pochi grammi di proteine (su un totale di 25 kg di razione giornaliera) è assolutamente giustificata vista l’elevata produttività delle vacche ed il relativo dispendio.

Un altro aspetto importante ha riguardato il perchè si parla sempre di "mucca pazza" e mai di "toro pazzo": il problema infatti riguarda esclusivamente le vacche da latte a fine carriera quando vengono macellate per scopi alimentari, mentre i maschi vengono quasi tutti abbattuti in età maolto giovane (6-12 mesi) e non hanno quindi il tempo di incubare la malattia. Il prof. Succi ha infine ribadito la totale sicurezza della carne offerta sul mercato italiano e lombardo in particolare, fatta eccezione ovviamente per quelle parti definite a rischio come occhi, cervello, tonsille.

Il convegno è poi proseguito con una serie di domande rivolte ai relatori; in questa sede è toccato ancora a Succi rassicurare la platea sul fatto che il prione non è presente nei tessuti adiposi, muscolari e nel latte e a ribadire che il futuro dell’allevamento non deve essere un "ritorno al passato" che peggiorerebbe la condizione degli animali, bensì deve basarsi sull’applicazione di norme igienico-sanitarie ben precise che attestino una produzione di qualità.

Il professor Bugiani ha poi giustificato l’abbattimento della mandria di Pontevico, a condizione che gli animali macellati vengano utilizzati per scopi scientifici: in caso contrario saremmo di fronte ad una vuota operazione di propaganda politica. Lo stesso professore ha concluso avvertendo che bisognerà concentrarsi sul controllo dei prodotti di origine bovina, non solo quelli impiegati dall’indusria agroalimentare (che sono monitorati adeguatamente), ma anche quelli usati dalle case farmaceutiche e dall’industria cosmetica, che potrebbero rappresentare un fattore di pericolo.

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Pubblicato il 14 Marzo 2001
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