La crisi finanziaria e la sinistra italiana

Di fronte al disastro di cui facciamo quotidianamente esperienza nella politica italiana, dov’è l’alternativa, nel senso sostanziale del termine?

Forse non tutti sanno dove ha preso origine una delle più grandi crisi che il sistema capitalistico abbia conosciuto – quella che stiamo vivendo – che può essere considerata seconda solo alla crisi del 1929 con il “Wall street crash”.
Se vogliamo riassumere la cosa, la crisi ha origine nell’eccessivo indebitamento della classe media nord-americana dovuta al fatto che con i governi del partito repubblicano – come dimostra il premio nobel per l’economia Paul Krugman – ogni volta che sono andati al potere hanno operato politiche fiscali di abbassamento delle tasse al ceto abbiente, schiacciando i salari della classe media e obbligando la “middle class” ad indebitarsi per mantenere lo stesso tenore di vita acquisito negli anni in cui i salari della classe media erano saliti fino a creare un importante ceto medio di consumatori ed elettori. Krugman dimostra come la velocità di crescita dei salari durante i governi dei “democratici” è molte volte superiore alla crescita dei salari durante i governi “repubblicani” a partire dall’epoca del presidente Franklin Delano Roosvelt. Questo fatto, affiancato all’opera dell’ex presidente della Federal reserve Alan Greenspan, che ha permesso e incentivato la moltiplicazione di prodotti finanziari macchinosi e complessi e ha sviluppato una politica monetaria di tassi di interesse molto bassi (il costo del denaro per intenderci) – ha generato una facilità di accesso al credito per tutti che ha esposto molto del sistema bancario a crisi di liquidità. In sostanza, le banche confidavano sul valore degli immobili in costante crescita per rilasciare prestiti anche a persone non solvibili, poiché pensavano che nel peggiore dei casi si sarebbero rivalsi sugli immobili che nel frattempo erano cresciuti di valore. Ma il sistema ha creato una bolla speculativa (i valori delle case erano cresciuti troppo) e quando la bolla è esplosa ha lasciato scoperti moltissimi creditori. Da qui il fallimento a catena di molte banche, salvate poi dall’intervento pubblico dei governi.
Se è chiara e condivisibile la dinamica della crisi adesso credo valga la pena porsi la domanda di come abbia agito la sinistra italiana quando ha governato e quali politiche ha fatto negli ultimi anni per differenziarsi dalle politiche delle destre: ha saputo la sinistra italiana essere di sinistra? Fare cioè politiche a sostegno dei salari a sostegno del lavoro, dell’ambiente, dei giovani, dei ceti deboli, dei pensionati, e di chi “genericamente” sta meno bene di altri?
A me sembra proprio di no. Mi sembra di ricordare che ha lavorato per la flessibilità dei salari, per la precarizzazione del lavoro, ha sostenuto le privatizzazioni, ha cercato di scalare gruppi bancari per avere più potere, ha inseguito la destra con interventi di guerra nei Balcani, ha permesso la privatizzazione della scuola, si è dimenticata o non ha saputo regolamentare il conflitto di interessi giusto per fare qualche esempio. Per riuscire a governare e a prendere i voti al centro ha inseguito politiche che non appartenevano alla tradizione della sinistra ma propriamente alla parte avversaria. Questo ha fatto sì che la propria identità si confondesse e risultasse difficile capire che cosa volesse dire essere di sinistra: da qui la famosa frase di Moretti: “dimmi qualcosa di sinistra”. Va da sé che se qualcuno vuole una politica di destra fatta di sostegno alla parte dell’offerta del mercato, al ceto produttivo, vuole le liberalizzazioni, le privatizzazioni, pugno fermo con gli immigrati, ordine, disciplina e autorità, allora tanto vale votare la destra che forse queste cose le sa fare molto meglio (intendo le destre europee, non quella italiana). La crisi che stiamo vivendo dovrebbe insegnare che una politica di sinistra significa saper regolamentare gli eccessi del mondo della finanza, saper tassare le rendite finanziarie, occuparsi dell’equità delle retribuzioni, costruire uno Stato sociale che coinvolga tutte le fasce di lavoratori, significa costruire un sistema di formazione continua per re-indirizzare i lavoratori espulsi da settori in declino dell’economia, saper investire nella scuola e nella ricerca, spostare l’accento dello sviluppo sulle energie alternative e magari essere accoglienti ma fermi con il fenomeno dell’immigrazione, offrire una scuola laica e d efficiente e un sistema di servizi pubblici degno di un paese avanzato. Essere di sinistra non significa credere di avere la verità mentre si asseconda il mercato e si fa una politica uguale a quella delle destre. Forse in Italia una vera sinistra non va al governo in tempi brevi ma sono certo che nel momento in cui le ricette liberiste vanno in crisi, come sta avvenendo in questo momento in molte parti del mondo, essersi fatti trovare pronti con un progetto alternativo, avrebbe sicuramente creato un’occasione vera e concreta per offrire un’alternativa a questo governo che non governa. Obama negli Stati Uniti ha vinto perché il popolo nord-americano si è reso conto che i responsabili della crisi erano coloro che erano al governo e hanno voluto far piazza pulita di quella politica liberista e irresponsabile. E l’impensabile è accaduto: un democratico di colore ha vinto le elezioni di uno dei paesi protagonisti degli equilibri mondiali. Adesso, guardando a noi, anche di fronte al disastro di cui facciamo quotidianamente esperienza nella politica italiana, dov’è l’alternativa, nel senso sostanziale del termine?

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Pubblicato il 09 Novembre 2009
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