La Corte dei conti boccia il 3 + 2, “ma non è tutto da buttare”

Andrea Taroni, rettore della Liuc e Matteo Rocca preside della facoltà di economia dell'Insubria commentano il referto della magistratura che ha espresso un duro giudizio sulla riforma universitaria

università referto corte contiIl sistema universitario italiano non sta bene, almeno dal punto di vista economico, ma non solo. È quanto ribadisce il recente referto della Corte dei conti che in particolare ha "bocciato" la riforma universitaria che ha introdotto il sistema a doppio ciclo, più conosciuto come "tre più due", con la divisione in laurea triennale e specialistica dei preesistenti corsi a ciclo unico. Il referto dei magistrati spiega come ”a più di dieci anni dal primo regolamento sull’autonomia didattica è possibile verificare che la riforma non ha prodotto i risultati attesi né in termini di aumento dei laureati né in termini di miglioramento della qualità dell’offerta formativa”. Anzi, prosegue il documento ”ha generato un sistema incrementale di offerta, certamente sino all’anno accademico 2007-2008, con un’eccessiva frammentazione delle attività formative ed una moltiplicazione spesso non motivata dei corsi di studio”.

Un giudizio severo che però non tutti condividono in pieno. È il caso di Andrea Taroni, rettore dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza che così ha analizzato i dati: «Niente di nuovo sotto il sole – spiega – la magistratura contabile traccia delle conclusioni interessanti dal punto di vista finanziario e contabile ma penso che si debbano esaminare attentamente i dati forniti nel referto, specie quelli riguardanti la domanda e l’offerta di formazione universitaria. Quello più enfatizzato dai media riguarda ad esempio il numero dei corsi di laurea passati negli ultimi dieci anni da 2.450 a circa 5.500. Qualcuno dice che sono più che raddoppiati ma questo era quasi naturale: l’aumento è provocato in parte dallo sdoppiamento dei corsi esistenti in un corso triennale ed uno specialistico. L’incremento vero dell’offerta dovrebbe aggirarsi intorno al 12 – 15 per cento e questo ridimensiona molto il dato numerico. Per quanto riguarda poi il numero degli studenti fuori corso, il nuovo sistema mostra trend positivi. Questo è un dato interessante e di rilievo, anche se mitigato dal ritorno alle quote di abbandono dopo un anno caratteristiche del preriforma».

Nel referto della Corte il numero dei corsi sembra invertire la tendenza alla crescita solo a partire dall’anno accademico 2008-2009 : "In conseguenza – si legge nel testo – dei decreti di riforma del 2004 e del 2007, comincia a registrarsi solo a partire dall’anno accademico 2008-2009, un decremento rispetto all’anno accademico precedente del 7,4 per cento per i corsi di primo andrea taronilivello e del 2,6 per cento per i corsi di secondo livello”. Ma il ciclo virtuoso da cosa dipende? «Si parla di inversione di tendenza e questa è la conseguenza di tre fattori imposti – prosegue Taroni – Alle università sono stati posti dei requisiti necessari per l’attivazione di un corso di studio in termini di docenti di ruolo: 20 professori in organico per ogni corso (4 di ruolo per ogni annualità); la limitazione del turn over; il vincolo al 90% per l’utilizzo del fondo di finanziamento ordinario per i costi del personale. Tutto questo ha portato a una riduzione naturale dei corsi». Il rettore della Liuc pone anche l’accento sul dopo laurea: «Il tre più due aveva tutte le carte in regola per essere una riforma intelligente in particolare per quanto riguarda l’avvicinamento dei neolaureati al mercato del lavoro. Ma perché le cose non hanno funzionato? In estrema sintesi: da un lato il sistema universitario non ha prestato l’attenzione necessaria alle nuove esigenze dello studente a fronte del forte cambiamento del contesto produttivo e dei servizi non solo nazionale, ma globale. Ha invece utilizzato le opportunità offerte dalla riforma per una riprogettazione spesso utilitaristica dei corsi di studio. Il risultato più evidente è una frammentazione (ha ragione la Corte dei Conti) della offerta didattica che trova pochissimi riscontri fuori dall’Italia. Da parte del mondo del lavoro non si è poi fatto molto per accogliere ed inserire i laureati triennali, anche dal punto di vista economico. Non sono state considerate a pieno le competenze professionali caratteristiche del loro livello formativo, ma piuttosto ci si è limitati a considerarli, e quindi a trattarli economicamente, come dei diplomati avanzati. Per l’Università Carlo Cattaneo-LIUC, privata, residenziale, di piccole dimensioni, vicina al mondo delle imprese e con servizi agli studenti a livello di eccellenza,i dati sono generalmente diversi. A titolo di esempio, l’attenzione all’inserimento dei nostri laureati, di qualsiasi livello. triennali o magistrali,nel mondo del lavoro fa parte delle nostre caratteristiche di eccellenza e del nostro DNA e ci consente di ottenere tempi medi di inserimento che ci collocano ai primi posti nelle graduatorie nazionali. Abbandoni e numero dei fuori corso sono abbondantemente al di sotto della media nazionale e, per quanto riguarda l’offerta formativa, eravamo attivi in tre aree nel preriforma: economia, giurisprudenza e ingegneria ed in queste siamo rimasti dopo aver riformato i corsi.»

insubria università varese«Credo che la Corte dei Conti metta in evidenza un problema che non è solo di oggi – spiega Matteo Rocca, preside della facoltà di economia all’Università dell’Insubria –  È da anni che si parla del fatto che l’esperimento delle lauree triennali non è andato come si pensava.  In realtà però ritengo che il problema non vada posto nel senso di "laurea triennale si o no": questa struttura rientra pienamente nel processo europeo delle università e non è il caso di fare gli autarchici e tornare al passato».
"Mettere mano alle lauree triennali" significa quindi non eliminarle ma ripensarne la loro qualità:
«Non è un caso che questo intervento avvenga in un momento di crisi economica e sia in fondo un invito a contenere i costi dei corsi – conclude Rocca –  Potrebbe perciò essere arrivato il momento in cui l’università deve decidere di puntare su una maggiore qualità: prima si pensava ai numeri, ora andrebbe rivalorizzato il merito, la formazione».
  

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Pubblicato il 27 Aprile 2010
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