Cinque morti in sei mesi. Di lavoro si continua a morire

Deceduto anche l'operaio della Clariant. Due vittime nel giro di quarantotto ore, il quinto dall'inizio dell'anno

Davide Rossini, Dario Comerio, Pantaleone Manno, Kadiri Abdelghani Hassani. Tutti trentenni, tutti morti in seguito ad incidenti sul lavoro, tutti nella nostra provincia. A questo triste elenco, purtroppo, si deve aggiungere anche Massimiliano Lamberti, deceduto questo pomeriggio, dopo tre giorni di agonia in un letto d’ospedale. 

Cinque vite sacrificate sull’altare di un diritto sancito dalla Costituzione. Un morto al mese, un bollettino di guerra che impressiona. Un dolore civile che non si lenisce nemmeno con le "buone" statistiche, che parlano di flessioni e di situazione in miglioramento se si tiene conto dell’alta densità produttiva del Varesotto. Ma le morti non possono essere mai poche. 
Cosa pensare poi dell’ultima, quella di Massimiliano Lamberti, lavoratore di un’azienda farmaceutica di Origgio, rimasto ustionato durante il caricamento di solventi in un essicatoio. La rsu ha confermato che la sicurezza nella Clariant Lsm
viene rispettata, che i meccanismi di pronto intervento funzionano, come nel caso del recente infortunio, che i delegati per la sicurezza non vengono snobbati dalla proprietà, come invece spesso altrove accade. Ciononostante si muore. Questo vuol dire che la sicurezza sui luoghi di lavoro non sarà mai un dato acquisito, non sarà mai una condizione stabile e che l’opera di sensibilizzazione,  di formazione e di controllo deve continuare incessantemente, fino a diventare condizione immanente del lavoro. 

Cruciale sarà il ruolo di sensibilizzazione delle istituzioni, a tutti i livelli, delle organizzazioni sindacali e dei media. Alla Clariant i sindacati hanno convocato un’assemblea generale dei lavoratori. «Il clima è teso – dice Massimo Cantiani, della rsu – la morte di Massimiliano ha sconvolto tutti. Come azione abbiamo deciso di devolvere quattro ore di lavoro ciascuno alla famiglia. Ci stiamo attivando per verificare tutte le procedure sulla sicurezza e sulla formazione. Anche se da noi c’è attenzione a questi temi occorre insistere. In questa azienda ci sono tante azioni rischiose e quella che stava facendo massimo non era più rischiosa di altre. I problemi nascono quando saltano i meccanismi di sensibilizzazione».

«Riteniamo positivo il lavoro dell’Asl – dice Renato Franchi, del dipartimento unitario ambiente e sicurezza Cgil, Cisl e Uil – il problema è che mancano risorse umane e finanziare, se poi consideriamo che l’azione sul territorio viene quasi totalmente assorbita dal lavoro per la magistratura e quindi ad infortunio avvenuto, si capisce che resta ben poco per prevenzione  e formazione. Devo rilevare la latitanza su questo tema del nuovo Prefetto. Noi avevamo fatto un presidio lo scorso anno davanti alla prefettura e avevamo avuto un colloquio con Valerio Lombardi, con il quale erano stati decisi una serie di interventi. Ma il fatto che sia cambiata la persona, non vuol dire che siano cambiate le funzioni e gli impegni presi. È necessario che chi ha un ruolo così importante sul territorio si spenda».

Secondo Salvatore Mantia, della Cisl Ticino-Olona, diventa importante il ruolo delle autorità centrali, del governo e dei ministeri. «Purtroppo è rimasta ancora inascoltata la proposta fatta da Cgil, Cisl e Uil nel 1998, e ribadita nella recente conferenza unitaria di Modena, che chiedeva di riunificare in un unico ministero le competenze di prevenzione e sicurezza in materia di lavoro».

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Pubblicato il 14 Giugno 2001
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