«Fra gli sfollati molta tensione, ma anche tanta gratitudine»

Fanno parte della colonna mobile della Protezione Civile lombarda e si trovano in Molise. Fabio Rocca, volontario sestese ci racconta la vita nel campo degli sfollati

Ancora altre scosse oggi in Molise. Quella di stamattina, martedì 12, ha raggiunto il sesto grado della scala Mercalli. E alla paura si aggiunge altra paura. Come quella degli abitanti di Ripabottoni, uno dei paesi colpiti dal terremoto. Ci sono due Ripabottoni dopo il trentuno ottobre. Il paesino arroccato su una collina a settecento metri e una tendopoli nei pressi del campo sportivo. Seicentotrentasette anime in tutto. Molti si sono sistemati da parenti, gli anziani in un albergo e in centosettanta animano con il loro disagio, la loro tensione, ma anche tanta gratitudine la tendopoli allestita dalla regione Lombardia. La colonna mobile della Protezione Civile è partita il giorno dopo le violente scosse. Il due novembre è arrivata a ha tirato su la tendopoli. Tanti i volontari impegnati nel campo a totale gestione lombarda. Non mancano quelli della nostra provincia. Ci sono quelli della Croce Rossa della provincia di Varese e poi i volontari della Protezione Civile del Parco del Ticino. 
Fino a qualche giorno fa erano in quattro i volontari sestesi che appartengono al distaccamento di Sesto Calende del Parco del Ticino. Ora sono rimasti in due, Fabio e Luca Rocca, due gemelli ventinovenni. Il primo novembre sono partiti anch’essi da Bresso. «Appena arrivati ho provato una sensazione bellissima nel disagio più assoluto – racconta Fabio – questa immensa colonna era davvero il primo soccorso per la comunità, appena arrivati ci siamo trovati di fronte a persone sedute sul ciglio della strada che così avevano passato due notti, ci siamo messi subito al lavoro, a montare tende e abbiamo visto crescere il campo». E insieme a quella la riconoscenza degli sfollati di Ripabottoni. 

«Qui le case non sono più agibili e tutti gli abitanti sono stati sfollati, la parte storica del paesino è stata violentemente danneggiata e con essa le sue due chiese e gli affreschi del settecento che contenevano». Ad oggi è questa la situazione. Nei primi giorni il compito dei volontari del Parco è stato anche quello di accompagnare le persone nelle loro case per recuperare indumenti. «All’inizio perdevano molto la pazienza, volevano subito rientrare nelle loro case, oggi, dopo la nuova scossa nessuno ha voluto più ritornare  per prendere ancora qualcosa e del resto il sindaco lo ha proibito».
Sempre Fabio ci racconta la quotidianità del campo, dove lavorano associazioni, enti e istituzioni. Ci racconta il carisma di quelli che coordinano i lavori, dell’energia di un sindaco Michele Frenza, che in questi giorni insieme a due collaboratori, un impiegato comunale e una maestra, non si sono mai dati per vinti. La vita è quella dettata dalle messe, dalle due ore di scuola al giorno. Si svolge tutto nel refettorio. Sono pochi quelli che hanno ricominciato a lavorare. Alcuni sono impiegati a Campobasso, che si trova a trenta chilometri dal paese. Sono molti invece gli operai alla Fiat di Termoli, ai quali è stata concessa una aspettativa pagata all’ottanta per cento. 
I volontari del Parco del Ticino ora hanno in carico il magazzino del campo, gestiscono i container, le suppellettili e il materiale per l’accampamento. Sin dai primi giorni hanno svolto il servizio di accompagnamento degli sfollati nelle loro case e affiancato le forze dell’ordine durante la vigilanza notturna per prevenire lo sciacallaggio. Dodici giorni a contatto con lo sbigottimento di una popolazione, alla quale i due gemelli sestesi, con la loro solarità, hanno cercato di dare sollievo, creando nel campo un clima confortevole. «Perché come è inevitabile c’è molta tensione fra gli sfollati». I nervi sono tesi e ogni scossa è un nuovo supplizio. 
Fabio e Luca, nella Protezione Civile dal 1991, operano per la prima volta in una zona terremotata. Hanno dato il loro contributo dopo le alluvioni di Asti del 1994 e di Alessandria. «Nelle alluvioni c’è meno tensione, si ha magari la consapevolezza di avere perso tutto e di dovere ricostruire e da lì si ricomincia – dice Fabio – in questa situazione ci sono sempre delle incertezze, qui c’è sempre un forse, tanti interrogativi della gente che vengono rivolti anche a noi». Quando potremo rientrare nelle nostre case, quando potremo aggiustarle, quando ricomincerà una vita normale? Sul futuro degli sfollati ci sono grossi punti di domanda. Fabio e Luca e i loro colleghi del Parco del Ticino a queste domande non possono rispondere. Quello che possono fare è rimanere finché gli sfollati non rientreranno nelle loro case.

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Pubblicato il 12 Novembre 2002
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