Franz Kline, un iconoclasta della pittura

Il Castello di Rivoli dedica un'ampia retrospettiva al maestro americano

Il rifiuto dell’arte figurativa o del realismo nell’ambito della ricerca pittorica occidentale ha una storia non lunga quando Franz Kline e un piccolo gruppo di autori americani si pongono il problema del fare artistico.

Forse sono le problematiche esistenziali sollevate dal secondo conflitto mondiale a non lasciare più spazio ad una ricerca visiva legata al fatto retinico e atmosferico o a dinamiche di tipo metafisico. Di fatto, l’esperienza di questi autori, chiamati poi dalla storiografia artistica Scuola di New York, concentra la propria ricerca in ambiti più legati alle tendenze espressioniste, abbandonando percorsi figurativi riconoscibili, finendo così per essere definiti i pittori dell’action painting o dell’espressionismo astratto.

Le riflessioni attorno all’esistenzialismo sartiano, alle filosofie di KierKegard o di Heidegger, gli spunti d’analisi portati dalla psicoanalisi, sono il serbatoio nel quale le problematiche dell’esistenza trovano una più puntuale rielaborazione e ridefinizione. Così, alla luce della “crisi” evidente dell’uomo moderno, il problema del sé si manifesta in ricerche pittoriche che abbandonando il rigido formalismo geometrico dell’astrattismo, producono un’arte, in cui soggettività, gestualità affiancate ad  una forte componente di aggressività e di individualismo,  trova nel segno energico  e nell’azzeramento cromatico e materico la più consona modalità espressiva.

E se in Europa il gruppo Cobra già si muoveva con analoghe affinità dell’Action Painting, Kline arriva solo in seconda battuta nella scia di questa ricerca e ne conquista da subito uno dei posti in prima fila. E’ infatti solo intorno al 1947 che Kline, superando le molte riflessioni attorno alla pittura come il post cubismo, l’astrazione geometrica, la metafisica o la pittura materica, condotte da altri autori come DeKoonig, Morrellet, Dubuffet, Fontana, Burri, Mathieu…..o verso lo stesso dripping di Pollock, passa da una pittura figurativa a quella più propriamente astratta, più precisamente ad una ricerca  astratto espressionistica e costruttivista.

Sembrano riflessioni attorno a Malevich i suoi primi lavori monocromatici in cui il nero (un quadrato, una linea…) cominciano ad abitare lo spazio “vuoto” della tela. E qui, nella Manica lunga del Castello di Rivoli tutto questo lungo passaggio riflessivo è così ben documentato che l’occhio del visitatore non fa fatica a saltare a pie pari dalla prima pittura figurativa a questi piccoli lavori su carta di giornale chiamati “Untitled” e realizzati tra il 1949 e il 1952.

Elementi pittorici ridotti a semplici strutture geometriche, segni iconici che frammentano lo spazio, lo differenziano rispetto al suo fondo, mostrano nella matericità energia e movimento, lo costituiscono in elementi di trame e ordito  lungo la propria superficie. E lo spazio con le sue monocrome trame, nella sua densa tessitura pittorica, costruisce dimensioni aperte ed apparentemente irrisolte, specchio evidente e consapevole della relatività, della provvisorietà e precarietà del mondo e della nostra stessa esistenza.

Smantellata l’impalcatura astratta, con le sue “regole” compositive, lo spazio pittorico dei lavori, eseguiti attorno agli anni cinquanta, si impone con tutta la sua forza espressiva. Poco importa se queste composizioni mostrino tutta le loro icasticità o siano realizzati con mezzi minimi e con elementi cromatici altrettanto ridotti (il bianco, il nero). Il risultato pittorico è tra i più innovativi,  anche ora,  e si impone con tutta la sua  potenzialità espressiva e comunicativa. Le grandi tele incombono, nell’ampio spazio della Manica Lunga,  e se pur in un equilibrio pittorico dall’apparente struttura disorganizzata, il bianco e il nero, evidenziano tutta la tragicità e drammaticità dell’esistenza e tutta la tempesta esistenziale di cui Kline e gli autori della scuola di New York si sono imbevuti. I bianchi si accampano sulle superfici attraverso ben identificate sovrapposizioni mentre i neri, come segni improvvisi, si sovrappongono e, in modo paritario, condizionano la spazialità, mostrano tutta la loro forte carica costruttiva, in un gesto di immediata espressività. Basterebbe osservare “Monitor” del ’56 o “Black and White” del ’60 o “Meryon” del ’61 o “Turin” sempre del ’60 o “Black Iris” del ’61. Ampie superfici in cui i neri si stratificano, mostrano sbavature, denunciano costruzioni pittoriche fatte per ripensamenti.

Sono aspetti che appaiono in modo più evidente quando, tra la fine del 1957 e il ’61, parallelamente ai dipinti  in bianco e nero, riappare prepotentemente il colore.

Un colore che si scopre piano piano dentro le precedenti sovrapposizioni cromatiche e, in ragione di questa modalità, acquista valori più timbrici, più profondi, riemerge in superficie nell’integrazione con altri pigmenti e, ciononostante, mantiene una sua traccia, una sua soggettività. Non chiude mentre lo spazio si fa denso in un progressivo equilibrio cromatico. Quando tutto  ciò avviene il colore non disturba l’icasticità delle precedenti tele monocromatiche semmai arricchisce d’energia e sicurezza compositiva la storia complessiva della  breve stagione pittorica.

Negli anni del più retrivo conformismo dove il modello di famiglia patriarcale viene idealizzato, e chi si pone in antagonismo viene bollato di comunismo,  in un momento in cui inizia la tragedia culturale del maccartismo e iniziano i primi esperimenti nucleari, forse non si poteva rispondere se non attraverso l’ azzeramento della visione figurativa, con consapevolezza intellettuale e culturale per offrire una comunicazione espressiva, certamente non popolare, ma in grado di rispondere emozionalmente a ciò che ci sta attorno

Perché le tele di Kline, la sua breve e intensa storia pittorica,  pur nella stringatezza dei segni che le compongono,  creano, nei confronti dell’osservatore, situazioni di prossimità, sanno costruire momenti dove sensazioni fisiche e psicologiche trovano una loro complementarietà e in cui percezione, esperienza ed emozione diventano un tutt’uno davanti agli  occhi.                                                                                                       

 

FRANZ  KLINE – 1910/1962

Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea

T O R I N O

Dal  24/ottobre/ 2004 al 31 gennaio 2005
Catalogo  SKIRA

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Pubblicato il 31 Dicembre 2004
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