CNA: “Cosa si può ancora fare per il tessile”

In un documento della Presidenza, la ricetta dell'associazione: tra i punti forti, sostegno all'aggregazione d'impresa e salvataggio delle imprese che chiudono per esaurimento del ciclo vitale

La Presidenza provinciale della C.N.A. di Varese ha discusso, come tutti gli organismi dirigenti della associazioni di rappresentanza stanno facendo in questo periodo, della complessa situazione del settore tessile, abbigliamento e calzaturiero del nostro Paese, oramai assurto al rango di punta dell’iceberg della più generale condizione di sofferenza del settore manifatturiero.

Partendo dalla constatazione che, finalmente, l’argomento è entrato nell’agenda dei problemi da affrontare con immediatezza e decisione – e ne sono diretta conferma le molteplici prese di posizione di associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali, l’incontro avvenuto lo scorso 21 di Febbraio e Palazzo Chigi nonché gli accordi che fioriscono localmente per estendere alle imprese minori gli ammortizzatori sociali – il ragionamento sviluppato in C.N.A. si è dipanato su alcuni temi specifici :

– Cosa fare e come intervenire a sostegno del tessuto imprenditoriale del settore;
– Su quali linee direttrici impostare le possibili politiche di sviluppo e di rilancio;
– Il ruolo che le Istituzioni sul territorio e le associazioni di categoria possono svolgere.

E’ parso anzitutto chiaro ed evidente che la fase attraversata non è di crisi congiunturale, ma l’effetto dirompente e probabilmente irreversibile di un fenomeno, il mercato globale, sul quale è molto difficile incidere con interventi desumibili dall’esperienza del passato; né ha molto senso pensare di risolvere o anche solo di attenuare la questione a valle, con misure straordinarie di carattere fiscale o parafiscale, dal momento che anche prevedendo per i settori in difficoltà (e si rischia di essere, purtroppo, facili profeti prevedendo che a breve anche la meccanica e la plastica vi rientreranno) esenzioni totali dalle imposte non si riuscirebbe a restituire competitività ad aziende il cui problema primario è rappresentato da un mercato imbastardito e falsato dalla mancanza di diritti e di regole e da condizioni sociali ed ambientali assolutamente non più proponibili per il nostro tessuto economico.

In particolare per quelle piccole, visto che per non poche imprese di altra dimensione, invece, la delocalizzazione o, come si preferisce sentir dire, la ricollocazione della produzione – non raramente in quei paesi che vengono messi all’indice come "il problema" – è stata e rimane parte integrante del loro processo di riorganizzazione.

In una situazione di questo genere – per non pochi aspetti contraddittoria, a conferma della complessità del mercato globale – diventa importante chiedersi, prioritariamente, che ruolo si intenderà attribuire al settore tessile nel futuro dell’economia del nostro paese: è una precisa responsabilità di politica industriale ed economica delle classi dirigenti a tutti i livelli, dall’Unione Europea alle Province, cui sarà impossibile sottrarsi né tanto meno azzardare risposte di carattere locale, perché appare alquanto singolare e irrazionale che, ad esempio, la possibilità di estendere gli ammortizzatori sociali alle microimprese debba transitare per accordi provinciali e non essere affrontata nel più ovvio e naturale contesto del sistema paese.

E tuttavia, se si riterrà di non abbandonare definitivamente al suo destino un settore sul quale si è sviluppata e consolidata una parte importante della crescita economica e sociale del Paese, in questa fase delicata è importante concentrare e dispiegare nell’immediato impegno e risorse appropriati e adeguate per:

monitorare le importazioni in tempo reale;
definire dei criteri certi e delle procedure per intervenire quando si verifichino incrementi anomali dei volumi o riduzione dei prezzi;
richiedere l’adozione da parte di tutti i Paesi dei principali standard di tutela del lavoro e dell’ambiente;
favorire una maggiore trasparenza e controllo sull’origine dei prodotti attraverso l’obbligatorietà dell’etichettatura di origine e l’utilizzo degli strumenti messi a punto in questi ultimi anni ( CentroCot a Pudong, per esempio);
– chiedere l’abolizione delle barriere non tariffarie applicate da altri mercati;
– praticare forme decise e incisive di lotta alla contraffazione ed alla pirateria internazionale.

Lavorando però anche, in prospettiva, per ricreare condizioni favorevoli per la rivitalizzazione ed il rilancio complessivo del comparto, che è oggi pensabile possa passare per :

– un rinnovato impegno di promozione e di valorizzazione della qualità e del marchio, capace di rafforzare, con politiche di internazionalizzazione mirate e con partecipazioni collettive e significative a mostre e fiere qualificate, il made in Italy : uno strumento ancora formidabile per i nostri prodotti, che deve però essere assolutamente potenziato e "ripulito" da quegli inquinamenti e da quelle ambiguità che già oggi ne deteriorano e che in futuro potrebbero offuscarne l’immagine;
– la riqualificazione di quel patrimonio di esperienza e di tradizione che ha contribuito a fare grande il settore su nuove frontiere merceologiche esplorate forse troppo superficialmente: valga per tutti il tessile tecnico, che non potrà probabilmente sostituire i fenomeni distrettuali in sofferenza ma che potrebbe garantire al comparto un importante futuro di nicchia;
politiche di orientamento al tessile che possano contribuire a mantenere vive e a formare professionalità indispensabile per qualsiasi ipotesi di rilancio in prospettiva : in questa logica e con questo obiettivo, iniziative come la mostra del Tessile recentemente promossa da Provincia e CCIAA di Varese a Malpensa Fiere costituiscono passaggi di fondamentale importanza.

Infine, per quanto concerne la dimensione artigiana del comparto, appare importante lavorare per incentivare e sostenere forme, anche innovative, di aggregazione d’impresa (qualche anno fa si era avviato con le organizzazioni sindacali un dialogo sulla possibilità di utilizzo consortile, a seconda delle esigenze lavorative, di personale dipendente tra più imprese : non sarebbe male pensare di riprendere la discussione ) e per evitare che imprese che hanno esaurito per ragioni anagrafiche il loro ciclo vitale (e nei prossimi anni saranno parecchie) cessino l’attività non per assenza di lavoro ma per mancanza di continuità aziendale : è un rischio che è doveroso scongiurare, ricorrendo anche in questo caso a misure appropriate e specifiche.

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Pubblicato il 02 Marzo 2005
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