Nico Messina, l’undicesimo uomo della squadra

Ha allenato a Varese subentrando a grandi filosofi della panchina, a mostri delle teorie e della pratica del basket. E ha vinto come loro

Non mi ha stupito il desiderio di Nico di andarsene in silenzio e senza l’ ultimo saluto  degli amici: aveva voluto essere giovane anche negli anni della vecchiaia e lo è stato nel tempo della fine. Perché Nico ha vissuto sempre con l’entusiasmo e lo sguardo al futuro tipico dei giovani, dei ragazzi con i quali ha trascorso decine d’anni, sia come professore di educazione fisica, sia come preparatore atletico di calcio e allenatore di basket. L’essere giovani di spirito come scelta di vita e così la gloria sportiva non gli ha mai dato alla testa, lo ha spinto anzi a continuare a lavorare con impegno, accettando le sconfitte come uno stimolo per ricominciare.

Accanto a lui come giornalista ho vissuto la grande era della Pallacanestro Varese e anche del Varese Calcio: la semplicità, la franchezza  e la perfetta conoscenza dei suoi limiti gli consentivano di avere sempre l’affetto, l’amicizia, la collaborazione dei suoi giocatori. Nico ha allenato a Varese subentrando a grandi filosofi della panchina, a mostri delle teorie e della pratica del basket. E ha vinto come loro, ha vinto soprattutto come  undicesimo della squadra: l’Ignis e il suo allenatore non  erano una squadra, erano una banda.

Oggi Ossola, Rusconi, Meneghin Flaborea, Manuel Raga, Villetti, Paschini lo ricordano con affetto immutato, con la gratitudine che si deve a un caro maestro giovane ed entusiasta. All’appello per salutarlo mancano Malagoli e Ovi, due campioni reggiani che hanno già chiuso la loro esistenza, come Marino, mitico massaggiatore.

Ricordano oggi Nico anche il presidente delle grandi vittorie, Adalberto Tedeschi, il direttore sportivo Giancarlo Gualco e il segretario Ossola. Splendidi dirigenti che, con un pugno di ragazzini e un tecnico più sbirro di loro, nel campionato 1968-69  hanno dato l’avvio alla leggenda dell’Ignis.

 

Nico Messina, coach di 45 anni, andò su una panchina  storica avendo alle spalle poca storia cestistica personale. Ma Giovanni Borghi qualche anno prima aveva scommesso sul “ragazzo” pieno di entusiasmo  e che aveva un solo credo: il lavoro. Il “ragazzo”  avrebbe ripagato con grandi vittorie la fiducia del patron.
Ciao Nico, anche a nome dei giornalisti varesini che oggi non hanno l’opportunità di salutarti pubblicamente.
Ciao e grazie per quello che hai fatto per il nostro
sport.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Marzo 2005
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