Ucciso il mullah Dadullah, rapì Mastrogiacomo
Il temuto comandate talebano, indicato coem responsabile di stragi e rapimenti, è caduto in uno scontro con truppe afghane e della Nato nella provincia di Helmand: il suo corpo è stato mostrato alla stampa
Il mullah Dadullah è stato ucciso. Uno tra i più feroci e temuti comandanti delle forze talebane nel sud dell’Afghanistan, responsabile fra l’altro di vari sequestri di persona, tra cui quello di Daniele Mastrogiacomo con l’assassinio degli afghani che lo accompagnavano, Najmal Aqshbandi e Sayed Agha, è rimasto ucciso insieme ad un fratello (a sua volta liberato appena due mesi fa proprio per salvare la vita di Mastrogiacomo) nella provincia meridionale di Helmand. La sua morte consegue ad un’offensiva congiunta fra forze Nato ed governativi afghani per venire a capo dei maggiori capisaldi di resistenza dell’esercito del deposto regime integralista, abbattuto nel 2001 per aver ospitato Osama bin Laden. La morte di Dadullah è stata annunciata oggi da fonti del governo afghano, invitando i giornalisti presenti nel capolugo locale Kandahar a verificare di persona e mostrando loro il cadavere, rispondente alle immagini e alle descrizioni che si avevano dell’uomo, cui mancava una gamba per una ferita rimediata quanda da mujaheddin si batteva contro i sovietici.
Voci contrastanti circa le reazioni dei talebani: si riferisce che avrebbero negato la morte del comandante, ma secondo altre fonti avrebbero ammesso quanto accaduto, annunciando di aver già provveduto a norminarne un successore.
Non conosce ancora pace, purtroppo, l’Afghanistan, Paese dove al momento stazionano importanti contingenti dell’esercito italiano, sia pure in compiti di assistenza alla ricostruzione e sicurezza interna e non di supporto diretto alle operazioni di guerra. Mentre nel Sud e sud-est del Paese infuriano i combattimenti (55 talebani sarebbero rimasti uccisi solo nelle ultime ore, secondo fonti afghane), le zone occupate dai nostri militari nell’est e ovest (Kabul, Herat e dintorni) conoscono una precaria tregua, tesa come una corda di violino. Qualche osservatore ipotizza che il colpo inferto alla struttura militare dell’ex regime possa portare i talebani ad un tavolo di trattativa, ma per ora questa appare una pia speranza.
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