Lo scarto quotidiano si fa bello

Intervista a Enrica Borghi che ha realizzato Patchwork city, uno degli spazi dentro Le trame di Penelope allestita alla GAM di Gallarate

Tetrapak, fettucce di plastica e "centrini" confezionati all’uncinetto con materiali riciclati sono gli ingredienti principali di  Patchwork city.  Una città che Enrica Borghi ha pensato come una coperta che scalda, in continua evoluzione, fatta di scambi, di contatti, di racconti, di socialità. Un luogo che cresce e si modifica grazie al lavoro di tanti di quelli che passano a vedere e poi si fermano a costruire.
L’artista piemontese è una delle tre anime, insieme ad Alice Cattaneo e Name Diffusion, del progetto Le trame di Penelope. Una proposta della Galleria d’Arte Moderna di Gallarate che si presenta già nel sottotitolo come qualcosa di diverso dalla "classica" mostra. Nelle stanze a piano terra della Gam ci sono opere e workshop. Tre diversi spazi interattivi con caratteristiche diverse.  In tre settimane sono passate oltre tremila persone e molte ritornano.
Enrica Borghi, insieme a Patchwork city, ha allestito la sua Biòboutique, un fittizio negozio al femminile, in cui ogni prodotto è realizzato con materiali di riciclo.

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Patchwork city di Enrica Borghi 4 di 13

Come è nata Le trame di Penelope?
«È stata un’idea di Emma Zanella. La direttrice della GAM ha voluto allestire uno spazio che fosse anche interattivo, dove il pubblico fosse partecipe per tutto il tempo della mostra. La "mia" città così cambia continuamente ed è imprevedibile e nessuno può sapere quale sarà il risultato finale».

Come sta andando?
«Molto bene. C’è tanto entusiasmo e curiosità. Il fare aggrega molto ed è fondamentale. Con Patchwork city interagiscono tutte le fasce d’età e mi colpisce la partecipazione della terza età che di solito è quella che fatica di più ad entrare in contatto con l’arte contemporanea. Gli anziani hanno tanto tempo e possono dedicare le loro energie a progetti come questo. Mi affascina veder lavorare tante donne, altra caratteristica di questo progetto molto al femminile,  perché permette di sviluppare socialità. Insieme alla tecnica si lega il racconto».

In un’intervista, realizzata da Giulia Formenti, lei afferma che "Patchwork city non è seduzione, ma una narrazione. C’è il tema più intimo del racconto attraverso la trama e gli intrecci di scarti che però hanno già il vissuto della nostra quotidianità". Come mai questa scelta di usare materiali riciclati per realizzare opere artistiche?
«Già dai tempi della frequentazione dell’Accademia  a Brera ero incuriosita da questi materiali. Ho iniziato poi a fare mostre nel 1994 e da allora la mia ricerca è continuata in quella direzione. Mi affascina rielaborare lo scarto del quotidiano. Sono materiali di grande interesse ed è un lavoro molto legato anche al femminile. Questo perché la donna è più vittima del consumismo rispetto all’uomo. Basti pensare ai prodotti cosmetici, ma anche alla maggiore frequentazione dei luoghi di consumo quali i supermercati».

È un’arte legata al sociale…
«Si, già dagli anni Settanta molti artisti hanno inziato a fare delle performance sociali. Penso ai movimenti legati al Nouveau Realisme con i primi lavori di Arman e Cesar, a Michelangelo Pistoletto, a Piero Gilardi. Io mi inserisco in quella corrente. Usare materiali legati alla nostra vita comune è una presa di coscenza del tempo, dove tutto è veloce e consumo. L’arte può rappresentare questo, è una sorta di risposta anche al feticcio del collezionismo. Si ribalta il concetto di valore rispetto a epoche in cui l’opera d’arte doveva durare per sempre. Scegliere questi materiali significa anche lavorare sul tema dell’effimero. Oggi tutto è poco stabile e non può esser concepito come monumentale. Così se l’arte permette di far scattare meccanismi di riflessione ha raggiunto un suo scopo».

Un’idea questa però che non sempre si ritrova nell’arte contemporanea e nel rapporto tra gli artisti…
«Gli artisti oggi, – come già dicevo nell’intervista pubblicata sul catalogo della mostra, – sono molto idivudualisti. Il "sistema arte" è fatto molto di competizione e si innescano dinamiche per cui c’è pochissimo confronto sul lavoro. Per me l’artista deve essere un pò un "demiurgo" che ti conduce e che propone qualcosa di bello o che, attraverso una lettura triste della realtà, ti invita a fare un altro passo verso il mondo del sogno, della poesia».

Come reagiscono quelli che vengono a vedere Le trame di Penelope?
«In tanti modi diversi. C’è chi guarda e basta, chi lo prende come un gioco, chi torna per passare un pomeriggio, magari in compagnia, chi si domanda le ragioni di questa proposta e avvia così delle riflessioni proprie. Questo è molto interessante e positivo».

Lei insegna al liceo artistico di Novara. Che rapporto c’è tra la sua attività artistica e il mondo della scuola?
«Mi stimola molto il rapporto con gli studenti. Loro sono una cartina di tornasole dei cambiamenti sociali in atto. Negli ultimi quindici anni ho potuto vedere tante evoluzioni della nostra realtà grazie ai ragazzi. Poi fuori dalla scuola, ma sempre con aspetti didattici ci sono i workshop come quelli che sto realizzando qui.  Questi hanno però altre caratteristiche. È tutto più intenso, più forte, più concentrato. Nell’insegnamento scolastico ci si abitua a tempi più diluiti e più istituzionalizzati»

Enrica Borghi
Nata a Premosello Chiovenda (VB) nel 1966, si è forma presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, diplomandosi in Scultura nel 1990.
Lavora con materiali di scarto, in particolare PET e PVC, con cui realizza oggetti reali legati al mondo femminile.
Ha fondato nel 2005 un’associazione che si occupa di cultura contemporanea, Asilo Bianco con cui realizza progetti particolarissimi, conferendo nuova identità e valore estetico ai materiali  più quotidiani, anche di scarto. Tra le sue opere La Regina presentata al Museo di Rivoli nel 1999, la finta rivista di moda Borghi in Fashion (2001), il libro Zapping in love (2002). Recentemente ha presentato a Nizza la personale L’avant-scène ed ha esposto al Chelsea Art Museum di New York.

Le trame di Penelope
Gallarate 10/11/07 – 10/2/08
Civica Galleria d’Arte Moderna

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 07 Dicembre 2007
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