Piergiorgio Welby e la storia di “una morte opportuna”

Ne ha parlato la moglie Mina, accompagnata da Gianna Milano e dall'anestesista Mario Ricci: «In Italia è necessaria una legge sul testamento biologico»

«Se dovessi trovarmi nella situazione di non essere più in grado di intendere e di volere a causa di una malattia non curabile non voglio che insistiate con le terapie mediche, voglio essere lasciata morire. Oppure: qualora io mi ritrovi in quella condizone non voglio che mi lasciate morire, voglio che facciate tutto il possibile per prolungare la mia vita. Questo è in estrema sintesi il testamento biologico». A spiegarlo è Mina, moglie di Piergiorgio Welby e oggi testimone del suo messaggio. Nella serata di ieri, martedì 26 maggio, ha fatto tappa a Varese invitata a raccontare la sua esperienza dall’Arci varesina e dall’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti).

«Ho vissuto pelle a pelle con mio marito – ha raccontato .  La malattia ci ha diviso anche nel nostro letto. Anche questa è stata una violenza. Durante il giorno le ore correvano, abbiamo lavorato molto insieme. Abbiamo fatto delle ricerche: lui pensava già ad una legge sul testamento biologico e sull’eutanasia». Ma che cos’è esattamente il testamento biologico. Mina Welby usa una definizione lineare, priva di interpretazioni: «Il testamento biologico -spiega – è la dichiarazione anticipata sui trattamenti sanitari. Noi siamo liberi di scegliere come essere curati e se essere curati ma solo finchè possiamo comunicare questa scelta. Che cosa succede dopo o se qualcosa  non lo permette più? Dobbiamo avere la possibilità di mettere nero su bianco quella scelta».

La signora Welby ha raccontato al pubblico gli ultimi anni di vita con il marito e ha letto alcuni suoi scritti: «Diceva io rivoglio la mia morte, la mia vita è stata forzatamente prolungata. Il giorno che è stato male io l’ho portato all’ospedale. Se non l’avessi fatto tante cose nella storia non si sarebbero verificate. Da quel giorno invece è iniziato il suo caso: lui voleva fare di se stesso un caso pubblico. Come ha fatto Luca Coscioni malato di sla. Ha voluto fondare un’associazione per lanciare il suo messaggio. In Italia serve una libertà della ricerca medica. Obama negli Stati Uniti ha stanziato i fondi statali per la ricerca sulle staminali embrionali. Potremmo guarire 6000 malattie rare delle quali non si conosce la provenienza e le cure».

Ad accompagnare Mina Welby nei suoi incontri ci sono Gianna Milano e Mario Ricci: una giornalista scientifica e l’anestesista di Piergiorgio Welby che hanno scritto il libro "Storia di una morte opportuna" edito da Sironi. 

«Il titolo del libro – ha spiegato Gianna Milano – deriva da una riflessione proposta da un teologo, Jean Foyer censurato dal Vaticano nel 79. Morte opportuna significa tempestiva ma anche scelta dall’interessato. La medicina proporrà sempre di più i dilemmi di fine vita perchè le tecnologie porteranno con il loro progresso inevitabilmente a situazioni come quelle di Welby o di Eluana Englaro. Persone che dovranno subire delle decisioni che non sono loro. La scelta in questi casi è molto soggettiva. Quella che per alcuni è una scelta dignitosa per altri non lo è. E mentre a livello internazionale la riflessione molto ampia in Italia il dibattito viene strumentalizzato per fini ideologici».

«Credo che il dibattito del nostro paese sia inquinato e distorto – ha concluso Ricci che scelse di mettere in pratica la volontà di Welby-. Questo a causa della presenza di due concetti che ingannano: l’accanimento terapeutico e la morte naturale. Quest’ultima è un termine rimasto nel frasario giuridico ma che effettivamente ha perso di singnificato. Il secondo invece è un termine che usiamo solo noi italiani. È stato difficile definire che cosa era accanimento in medicina. Si parla di futilità per inutilità. Il dibattito deve essere dunque impostato diversamente: ciò che è utile dal punto di vista medico è anche obbligatorio?»

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Pubblicato il 27 Maggio 2009
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