“Sono disperata, vogliono togliermi mio figlio”. Ma il Comune nega
Una storia penosa e triste che vede coinvolta una madre, il suo bambino e i servizi sociali del Comune
Una storia penosa e triste che vede coinvolta una madre, il suo bambino e i servizi sociali del Comune. La donna interessata, una trentottenne di Gallarate, ha scritto ai giornali, anche a VareseNews (noi le garantiamo l’anonimato per tutelare innanzitutto il figlio minorenne), per denunciare la propria situazione: afferma di aver subito un’ingiustizia, si definisce “ragazza madre” e scrive di vivere da sola col figlio di dieci anni; a causa della crisi scrive di aver perso il lavoro e di essersi rivolta ai servizi sociali del Comune per avere aiuto e di aver ricevuto per tutta risposta la volontà dell’amministrazione comunale di volerle togliere il bambino. La signora ha anche scritto, nella lettera spedita alle redazioni dei giornali, che i servizi sociali l’avrebbero anche “forzata” a firmare una carta nella quale dà il consenso a mettere il minore in un centro educativo: «Non sono assolutamente intenzionata a separarmi da mio figlio, sono disperata e non so più a chi rivolgermi», scrive la signora.
Il Comune di Gallarate risponde spiegando le proprie ragioni: «Si è avuta notizia che una donna residente a Gallarate sta da giorni contattando i mass media per rivolgere accuse pesanti e infondate al Comune. In pratica, la signora accusa il personale che la sta seguendo in quanto indigente di averla messa «…con le spalle al muro», inducendola a firmare un documento che la obbligherebbe a inserire il figlio, minorenne, in una comunità protetta. I Servizi Sociali e l’assessore competente, Giovanni Roberto Bongini, non possono fornire informazioni particolareggiate sulla penosa vicenda perché devono tutelare entrambe le persone coinvolte e in particolar modo il minore. Si limitano, dunque, a replicare malvolentieri esclusivamente sulla base di argomenti e dati forniti dalla signora stessa alla stampa. La signora si autodefinisce “ragazza madre” pur essendo trentottenne. Se anche i requisiti anagrafici della donna la qualificassero come ragazza madre, questi non le darebbero diritto a sussidi in più rispetto a quelli, cospicui, che le vengono corrisposti da tempo. I Servizi Sociali, lungi dal dimostrare scarsa sensibilità, hanno sostenuto la signora e suo figlio a più riprese, nel rispetto delle regole e avvalendosi della professionalità del loro personale: si sono fatti carico delle bollette del gas dal 2008, hanno elargito un sussidio per le varie necessità del nucleo familiare, hanno inserito il bambino gratuitamente in tutte le iniziative che il Comune allestisce per aiutare i minori in difficoltà. E’ stata la signora stessa a chiedere ai Servizi Sociali l’avvio dell’iter per affidare il figlio a una comunità, a causa della dichiarata e acclarata impossibilità di prendersi cura del minore. La donna non è stata sottoposta ad alcuna pressione. I Servizi Sociali del Comune prendono atto del fatto che la signora ha evidentemente cambiato opinione sulla soluzione da lei stessa proposta. La sua condotta e la situazione del figlio, inclusi i dettagli non divulgabili in questa sede, saranno presi in esame dal Tribunale dei Minori, al quale spetta la decisione sull’eventuale collocamento del bambino in una struttura protetta».
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