Al lavoro senza pausa “grazie” alla tecnologia

Settimana corta, orario ridotto e reperibilità totale. La rivoluzione è in arrivo. Siete pronti?

Immaginate la scena: una mamma ai giardinetti, con i bambini che giocano, chiedono la merenda, l’acqua. E lei serafica e attenta che risponde alle richieste dei bambini…E alle e-mail che le arrivano sull’i-phone. Non è fantascienza. La mamma ha un nome e cognome si chiama Roberta Cocco, manager di Microsoft responsabile del progetto Futurolfemminile, nato per diffondere la consapevolezza che la tecnologia può essere un potente alleato delle donne. Un alleato è vero ma anche una schiavitù. Che non riguarda, ovviamente solo le donne, ma tutti i lavoratori che utilizzano le nuove tecnologie.
Un’era è finita: non esiste più divisione tra tempo libero e lavoro. Impossibile non rispondere ad un’email che ti insegue mentre stai tornando a casa in macchina alle nove di sera o sei in barca sul lago. Se il dovere chiama bisogna rispondere. E’ un fenomeno nuovo che merita una riflessione. C’è chi ci sta già lavorando: il “nostro” sociologo Domenico De Masi, ha scritto un testo alla fine degli anni Novanta, che s’intitola "Il futuro del lavoro", Rizzoli editore, ristampato da poco. Secondo De Masi, nella società post-industriale, l’ozio sarebbe diventato importante quanto il lavoro e avrebbe finito "per fare tutt’uno con esso, assumendo le connotazioni del gioco". Se il lavoro diventa creativo "non c’è più differenza tra tempo del lavoro e tempo della vita, lavoriamo 24 ore ma anche ci divertiamo 24 ore".
Stesso titolo, “The future of Work”, per Richard Donkin, già editorialista del Financial Times.In questo caso si parla di evoluzione del mondo del lavoro. L’idea più rivoluzionaria riguarda il concetto stesso di luogo di lavoro. "L’orario settimanale può scendere anche a 30 ore"- spiega Donkin – Non distribuite in modo omogeneo, se serve. Si può anche arrivare a lavorare dieci ore al giorno, in cambio di maggiore libertà il venerdì e magari anche parte del giovedì. A condizione di accettare che anche i giorni fuori ufficio, weekend compresi, possano essere – in qualche modo – lavorativi. "In fondo già oggi non smettiamo di vivere quando andiamo al lavoro, e non smettiamo di lavorare quando siamo a casa". Tutto bene purché ci sia una condizione essenziale: che il lavoro piaccia e diverta. Altrimenti portarsi sempre il lavoro a casa equivale a portare una croce. E non solo: il rischio di contaminare la vita privata con il lavoro, e viceversa, è molto concreto. Il nostro modo di lavorare sta cambiando rapidamente e la vera domanda è questa: siamo pronti? Rispondete al nostro sondaggio.

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Febbraio 2010
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