Gli ultimi tristissimi giorni di Rachele a Bangkok

Rachele Meazza, varesina in Thailandia, sta per tornare a casa: ma abbandona con grande tristezza un paese martoriato dagli scontri

 «Ho camminato in Bangkok per l’ultima volta, ho salutato questa mia amata città con il cielo grigio e il temporale. Sotto la pioggia ho pianto anche io. Dall’altra parte del fiume, ventiquattro morti e il Primo Ministro annuncia che non si fermerà ora. Chiedono di spostare i bambini dai luoghi delle manifestazioni e hanno messo il coprifuoco. Guerra civile. La città degli angeli nel sangue, ancora».

 
Rachele Meazza queste parole Rachele Meazza, la varesina in Thailandia con un progetto intercultura che abbiamo imparato a conoscere nelle sue "corrispondenze su facebook" , racconta i suoi ultimi giorni di permanenza a Bangkok agli amici del social network:  «Sono andata a cena in un ristorante con tutta la mia famiglia e c’era la televisione che mostrava le immagini degli ultimi due giorni, io non ho toccato cibo. è qui, nelle vie che conosco bene, a trenta chilometri da casa.
le scuole delle mie sorelle sono chiuse, una è nella via degli scontri, l’altra in periferia, ma gli insegnanti non riescono a muoversi. anche domani io dovrei andare a scuola a dire addio, ma temo di non trovare nessuno».

 

Le giornate a Bangkok, sono terribili. Ma malgrado ciò Rachele, diciottenne occidentale che in fondo sta solo per andarsene, non è riuscita a non tentare di andare in centro per l’ultima volta: dove però è il principale teatro degli scontri.  «Ieri mattina dopo aver litigato con la mia valigia, ho deciso di andare a trovare una mia amica in centro. mentre camminavo verso la fermata del pullman mi sono fatta venire coraggio, ho fermato un taxi e mi sono fatta portare vicino al luogo degli scontri, dicendo che dovevo vedere un amico che abitava là. il taxista era un ragazzo giovane, mi ha spiegato di essere preoccupato per gli scontri tra esercito e manifestanti, aveva paura dei soldati, e mi ha chiesto se doveva aspettarmi in macchina, non voleva lasciarmi andare sola. sono arrivata al margine della "war zone" dove c’è un posto di blocco con la polizia che controlla le macchine in entrata. Le strade erano deserte, nessuno si azzarda a passare di lì. Ho fatto un centinaio di metri, ho visto qualche soldato, e niente più. Visto che ero sola ho preferito tornare indietro»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Maggio 2010
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