“Il latte crudo? malsano. La verdura biologica? come l’altra” smascherati in un libro tutti i miti alimentari

Parla Dario Bressanini, professore di chimica all'università dell'Insubria, collaboratore di Le Scienze, autore di un blog alimentare seguitissimo. E ora del libro "Pane e Bugie"

dario bressaniniNel suo libro un intero capitolo è dedicato al micidiale DHMO, il monossido di diidrogeno, un prodotto non regolamentato che reagisce violentemente con alcuni metalli come il sodio o il potassio, che diventa molto pericoloso a contatto con l’olio bollente, che è il principale componente delle piogge acide e se ne trovano tracce nelle cellule tumorali.
Ma la vera identità di questo “killer invisibile” – le cui spaventevoli spiegazioni sono tutte vere, benchè si tratti di un elemento molto più comune e innocuo di quanto il "terrorismo della disinformazione scientifica" faccia credere – è proprio uno dei modi ce utilizza per smascherare luoghi comuni che girano in rete, e ahimè sui giornali, riguardo le teorie scientifiche nel campo alimentare.

E a decidere di smascherarne un po’, nel suo Pane e Bugie (editrice Chiarelettere) è un professore dell’Insubria, ordinario di Fisica-chimica nella sede di Como. Si chiama Dario Bressanini, collabora ormai da tempo a Le Scienze e a Radio 24 e ha deciso di chiarire la scientificità di un po’ di notizie alimentari, visto che a quanto pare non lo fa proprio nessuno.

Da dove è nato il libro?
«Soprattutto dal rapporto con i lettori del mio blog su Le Scienze. Il post che scrissi sul latte crudo, per esempio, ha avuto più di mille commenti: è stata un’occasione preziosa per affinare lo studio sull’argomento».

Un libro che si intitola “Pane e bugie” e smaschera i falsi miti del “salutare” e del “biologico” è di questi tempi per lo meno un libro provocatorio…
«E’ vero che è provocatorio: nel senso però che si cercano sistematicamente di sfatare le leggende popolari. Non c’è però nessun attacco aprioristico, avendo documentato fino all’ultima virgola quel che scrivo: nel libro ogni dato che cito ha la relativa fonte. La verità è che nella stragrande maggioranza dei casi, in caso di notizie scientifiche, ci beviamo di tutto senza pensare a verificare o documentarsi. Lo fanno i consumatori ma soprattutto, il che è molto peggio, lo fa la stragrande maggioranza dei giornalisti italiani»

E’ tutta colpa dei giornalisti dunque?
«A dire il vero, dei giornalisti italiani: la precisazione è d’obbligo, perchè nel giornalismo britannico c’è la figura specifica del redattore incaricato a verificare i fatti prima di pubblicarli. Tanto per intenderci, quello che evita al giornale di scrivere "bufale" come l’esistenza della fragola-pesce. Una “notizia” che da noi ritrovo periodicamente: l’ho vista citata anche un mese fa sul Corriere della Sera».

latte crudoNel libro ci sono esempi “esemplari” di disinformazione alimentare: come la martellante campagna contro il glutammato, detta anche “sindrome da ristorante cinese” e il violento attacco senza prove agli scienziati – tra cui Umberto Veronesi – che hanno scoperto sostanze cancerogene nel basilico, rendendo sospetto il pesto. Ma anche la battaglia per il latte crudo e il mito del “naturale, perciò sano” che proprio la storia della sterilizzazione del latte smentisce.

«Gli esempi citati li ho presi ad emblema: per far vedere come un giornalista dovrebbe trattare molti argomenti del genere. Uno dei più difficili da affrontare, tra quelli che ho preso in considerazione, è il glutammato: dire che un componente “fa male” senza parlare di dosi – come avviene praticamente sempre nel suo caso – è un problema di veridicità dell’informazione. Si confonde la proprietà di una sostanza con l’uso che s’è n’è fatto: negli ultimi anni l’industria alimentare ha esagerato con questo elemento, l’utilizzo che se n’è fatto è spesso eccessivo, la cucina italiana negli anni 60-70 era piena di dado, fatto prevalentemente con il glutammato. Questo, e solo questo, ha creato i danni da eccesso. Ma il glutammato non è velenoso in sè: per esempio ha senso usarlo nella cucina cinese, che lo vede come componente fondamentale. Bisogna, semplicemente, non eccedere. Come vale per tutte le cose».

Cosa crea però queste paure, secondo lei?
«Io penso che le persone abbiano paura delle trasformazioni: dietro la “demonizzazione” dello zucchero bianco, per esempio, c’è questo tipo di timore. Invece, una volta, la trasformazione degli alimenti dallo stato grezzo alla raffinazione veniva visto come un miglioramento. Ora è passato quel periodo, la gente non ricorda più che la raffinazione è una evoluzione e ha cominciato a temerla. Un errore concettuale: noi mangiamo una serie di alimenti che per essere mangiati devono essere trasformati. Penso per esempio alla trippa, che per essere cucinata va trattata con la soda».

Si può fare un discorso simile per il latte: «Non bisogna andare troppo indietro nel tempo per ricordare i problemi che dava il “latte crudo”. Le nostre nonne facevano bollire il latte proprio per evitare intossicazioni gravi per i bambini. Quello del latte crudo “buono e sano come una volta” è un clamoroso caso di perdita della memoria. Prima, quando non esisteva la pastorizzazione e il latte non si bolliva, i soggetti deboli morivano, per il “latte crudo”. Adesso l’igenicità della produzione lo rende meno pericoloso, ma non si può non partire da questo presupposto»

Magari sono le parole, gli elementi a spaventare: magari certe “chiusure” sono, diciamo così, semantiche…
«A dire la verità, certe volte ci vorrebbe uno psicologo per capire perché le persone reagiscono così violentemente a certi elementi e in determinati casi. Penso all’anidride solforosa, considerata un veleno terribile quando si parla dello zucchero bianco. Eppure, è un additivo esistente nel vino, nei sottaceti e in una quantità di altri prodotti: serve per evitare proliferazioni batteriche. Qui nessuno si indigna, mentre quando si parla del suo uso per sbiancare lo zucchero si alzano gli scudi, anche se la quantità usata è molto minore che in altri prodotti e il residuo è minimo»

coltivazioni biologicheE del biologico, cosa ne pensa? «A livello commerciale, è nato paradossalmente con una produzione industriale: si trattava di una insalata già imbustata, erano credo gli anni settanta. Ha avuto una crescita lenta ma costante, a contraltare con i problemi legati all’abuso di antiparassitari e di fertilizzanti. Adesso però, certe sostanze non si usano più nemmeno in agricoltura convenzionale».  Per quanto riguarda l’attenzione al biologico, «Va notato come sia diversa la situazione italiana rispetto a quella americana. Oltreoceano c’è una reazione ad una cultura più intensiva: In Italia invece le coltivazioni biologiche di frutta e verdura fanno concorrenza a coltivazioni normali che sono già normalmente di buona qualità. La differenza tra le due è psicologica e di sapore: le ricerche scientifche per ora negano una maggiore capacità nutrizionale dei prodotti biologici. Conta in questo caso anche il rispetto della stagionalità: ormai noi ci siamo dimenticati di quando si raccolgono le mele, o i pomodori, mentre l’agricoltura biologica questi tempi li rispetta».

Ma a chi conviene? «Chi produce biologico ha un guadagno, ed è maggiormente disposto a produrlo da quando il consumatore è disposto a pagarne il prezzo. Da parte del consumatore c’è uno spostamento verso il biologico corrispondente alle grandi crisi sanitarie mediatiche, come nel caso della mucca pazza».

Insomma lei quindi è pro o contro il biologico? «Io non sono d’accordo con quelli che mangiano solo cibi biologici o a chilometro zero perchè “vogliono salvare il mondo”. Perchè non è vero: ci sono mille motivazioni per cui non è affatto scontato che sia meglio mangare a chilometro zero o biologico. Sono d’accordo con chi invece, e tra questi ci sono anch’io, mangia prodotti biologici perchè sono più saporiti. Solo questa è la vere differenza». 

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 22 Luglio 2010
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.