La città che cambia
Centro città fra viabilità modificata, posteggi alternativi (non sempre agevoli o pronti) e demolizioni che aprono nuovi scorci, sotto lo sguardo muto di passanti e curiosi
Ruspe al lavoro, transenne, griglie e gabbie metalliche, "castelli" di tubi, le reti arancioni ormai sinonimo universale di cantiere. Il centro città offre uno spettacolo in movimento, fra vecchi problemi in via di risoluzione (si spera), permanenze fastidiose, soluzioni estemporanee e traffico ancora più caotico del solito. In particolare oggi, lunedì 18 ottobre, primo giorno di chiusura quasi integrale di piazza Vittorio Emanuele II a quel posteggio che per decenni è stato la sua vocazione "naturale". Motivo, i lavori in atto in piazza per lo smontaggio del monumento ai caduti, destinato a quella piazza Trento e Trieste dove pure, anche qui con qualche disagio, sono in atto i primi interventi. E se piazza Vittorio Emanuele, quando sarà ultimato il sottostante autosilo, sarà completamente pedonalizzata, in piazza Trento e Trieste il monumento non sfuggirà alla compagnia del traffico, ma solo su un lato, quello che collega via Mazzini a piazza Garibaldi attraverso via Crespi.
– Viabilità e parcheggi
Da oggi in piazza Vittorio Emanuele II si può entrare, ma solo dalle vie Borroni e Pozzi, uscendo da via Marliani, ora a senso unico verso via Montebello (e ci vuole il vigile fisso per spiegarlo) oppure da via Carducci per le stradine che sfociano nei pressi del Municipio in via Fratelli d’Italia. In piazza si crea qualche piccolo ingorgo quando le auto vengono reincanalate su via Montebello e sull’eterna coda del suo semaforo, o quando qualcuno non ancora informato imbocca via Marliani contromano. In ogni caso, siamo solo all’inizio: ci sarà molto da fare per gestire la viabilità quando i lavori dell’autosilo renderanno piazza Vittorio Emanuele II inaccessibile.
Parcheggi alternativi sono indicati dai cartelli spuntati come funghi nelle ultime settimane: quello di via Borroni, già strapieno di norma; quello di via San Michele, idem; quello nuovo e provvisorio, a disco orario, in via Solferino (foto), una spianata d’asfalto grezzo laddove fino a poche settimane fa sorgeva una vecchia casa. Il nuovo posteggio non è ancora pieno: ma la vecchia Cuntraà daa Machina sarà presto, al plurale, Cuntràa di Màchin.
Ancora in alto mare il previsto maxiposteggio di vicolo Landriani. Da via Zappellini il vicolo risale verso questo ampio spazio che, opportunamente sistemato, potrebbe ospitare qualche centinaio di auto. Di fatto è ancora praticamente allo stato selvaggio, fra sterpaglie, praticelli stenti, montarozzi di inerti, persino qualche albero di pregio estetico, dipinto di rosso fuoco dall’autunno. A poche centinaia di metri, il posteggio di San Michele dà come sempre il peggio di sè: pozzanghere larghe e profonde, che persistono per giorni dopo la pioggia, terreno gibboso. E ciononostante, ovunque lamiere, difficile trovare un posto. Buche, tante, "buchi", quasi zero.
– Lo sguardo silenzioso dei bustocchi
In tanto bailamme di mutamenti, i bustocchi osservano muti la città che cambia. In particolare si soffermano davanti ai lavori di demolizione dei vecchi edifici sul retro di piazza Vittorio Emanuele II, da via Solferino. Guardano in religioso silenzio. I pensionati; la ragazza col cane al guinzaglio; il nonno col bambino assicurato sul sellino della bici; la signora di passaggio con la sporta. Ognuno per conto suo. Si guarda morire pezzo per pezzo la città degradata, abbattuta nel fracasso della ruspa e in quello tipo asciugacapelli del mezzo che spruzza d’acqua nebulizzata le rovine per evitare di far polvere. In uno spettacolo quasi ipnotico, la pala meccanica con tocchi che da lontano paiono delicati stronca le deboli murature d’un tempo. Messe a nudo, travature in legno orami annerite precipitano dopo forse un secolo di fedele servizio. Chi guarda, immobile e solo, non parla. Sorpresa per una nuova visuale prima negata? Curiosità? Nostalgie? C’è chi si informa se il lavoro sia opera del Comune o di privati (la seconda: Soceba, gruppo Dal Ben); e chi ricorda che «quegli edifici devono avere almeno ottant’anni, erano già lì quando ero piccolo, e ne ho 73». Ma la gran parte delle persone non parla con gli altri, osserva e tace. Quasi incredula che dopotutto, alla fine, qualcosa possa cambiare davvero.
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