“Colpito un Paese dai valori forti”
La consigliera d'amministrazione Rai visse negli anni Ottanta nel Paese del Sol Levante. "Un grande dolore. Colpito un popolo dai valori forti, che si piega senza spezzarsi". E che in ogni casa tiene il kit di sopravvivenza
«La tragedia è enorme, per me è un grande dolore vedere colpito così un popolo come quello giapponese, perbene, tenace, dai valori forti».
Tra i personaggi che dalla nostra provincia sono giunti a Roma a rappresentare il Varesotto c’è chi conosce bene il Giappone e la sua cultura. È Giovanna Bianchi Clerici, già senatrice per la Lega Nord e da tempo consigliere d’amministrazione in Rai, laureata in lingue orientali. Nel Paese del Sol Levante trascorse diciotto mesi tra il 1984 e il 1986, avendo vinto una borsa di studio del governo nipponico. «Vi sono tornata in seguito in varie occasioni, avendo fatto fatto parte del Comitato interparlamentare Italia-Giappone. In più la Rai mantiene importanti rapporti con la tv pubblica giapponese, NHK, di cui abbiamo potuto (tragicamente) vedere tante immagini in questi giorni; rapporti che seguo personamente. Loro sono sempre stati all’avanguardia». La Rai, ricorda Bianchi Clerici, partecipa anche alla Fondazione Italia-Giappone che da una ventina d’anni approfondisce i rapporti tra questi due Paesi così lontani fisicamente e culturalmente, e così affasinati l’uno dall’altro. «La Fondazione è stata a lungo presieduta da Umberto Agnelli, ora dall’ambasciatore Vattani. Il direttore Umberto Donati, che è anche direttore dell’istituto di cultura italiano in Giappone, è rimasto a Tokyo».
Della sua esperienza personale del Giappone Bianchi Clerici ricorda l’organizzazione meticolosa dei nipponici per quanto attiene la protezione civile, che sicuramente ha salvato innumerevoli vite, in questa e altre occasioni. «Per prima cosa, dopo avermi consegnato l’alloggio in affitto che occupavo, venne un gentilissimo vigile di quartiere che mi tenne una lezioncina su cosa fare durante i terremoti e mi consegnò il kit di sopravvivenza» (c’è in ogni casa). «Ora, non ci sono davvero parole per quello che è successo. Avete visto tutti la devastazione. Si vede nelle immagini il Giappone vero: non tanto i grattacieli scintillanti delle metropoli, ma queste medie e piccole città di case basse e modeste, al massimo palazzine di tre-quattro piani». Come impone l’elevatissima sismicità di questo Paese, già martoriato da grandi tragedie, come il terremoto del Kanto del 1923 che fece centomila morti, o quello di Kobe del 1995 che "si accontentò" di cinquemila – effetto dell’edilizia antisismica nel frattempo sviluppata. Senza dimenticare i drammi provocati dall’uomo, come i bombardamenti incendiari americani del 1944-45, che piegarono il fanatismo dei militari nipponici, culminando nelle atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Che non hanno impedito nel dopoguerra al Giappone, privo di risorse sue, di diventare fermo sostenitore dell’energia atomica per usi civili: ora gravemente a rischio per i danni alle centrali dopo terremoto e tsunami.
«Il vero nemico prima che i terremoti sono gli incendi», dovuti ai fornelletti sempre accesi a scaldare le pietanze, ed è sempre stato così, «anticamente le case erano tutte in legno e carta, fragili, ma anche più semplici da ricostruire. La cultura cambia, lo si vede soprattutto fra le generazioni più giovani», ma certi schemi sono insiti in secoli di tradizione e restano pilastri di una cultura nazionale distinta, favorita dall’insularità e gelosa di un’identità appena scalfita dall’occidentalizzazione apparente. «Da un lato la caducità, dall’altro il sapersi piegare» spiega Bianchi Clerici. «La caducità di tutto ciò che è prezioso e bello, così esemplificata dall’amore giapponese per il fiore di ciliegio», in onore del quale si tiene una delicata festività primaverile, «o dalla sensibilità per le stagioni». Grandi artisti nella natura hanno trovato ispirazione, si pensi alla nota stampa "La Grande Onda" di Hokusai, simbolo iconico dell’arte giapponese. Una caducità che si esprime persino nel rapporto col sacro, «si pensi che il tempio di Ise, o Jingu, legato al culto scintoista della dea Amaterasu, viene completamente ricostruito ogni 20 anni», a sottolineare la transitorietà del tutto. Una mentalità diversa da quella mediterranea, legata alla permanenza delle strutture antiche, come le Piramidi, il Partenone o il Colosseo. «E poi il piegarsi, senza farsi spezzare dagli eventi»: un po’ come il principio di cedevolezza su cui si fonda il judo, sport nazionale. Ai drammi il popolo giapponese ha sempre saputo rispondere con dignità, senza mai lamentarsi o perdere la faccia, un valore che per gli orientali ha tradizionalmente alta importanza. "Shikata ga nai", "non ci si può fare niente", si dicevano i giapponesi per sopportare la vergogna della sconfitta e dell’occupazione postbellica, la morte dei cari, il degrado morale, la fame. Un fatalismo che dopo gli anni del boom e quelli della stagnazione oggi si ripropone di fronte alle scene apocalittiche di intere città e aeroporti inondati dall’oceano impazzito, ma che non è mai stato passivo. Perchè dopo ogni disgrazia il Giappone è sempre risorto dalle macerie.
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