Dall’Australia al Varesotto per diventare campione

Conosciamo meglio il conquistatore del Tour che oltre agli avversari ha dovuto sconfiggere più volte la sfortuna. Sempre sotto l'occhio vigile del maestro Aldo Sassi

Ci sarà presto una maglia gialla nel luogo dove riposa quel grande maestro di sport che è stato Aldo Sassi. A portarla non sarà Ivan Basso, come sperato da tanti tifosi varesini, bensì Cadel Evans, l’altro grande allievo del preparatore di Valmorea, scomparso pochi mesi fa.
La vittoria di Cadel è un premio postumo per l’uomo che aveva creduto ciecamente in lui fin dai primi anni del nuovo millennio: non è infatti un caso che Evans – nato nel ’77 a Katherine, piccolo centro dell’immensa Australia del Nord – si sia stabilito proprio nel nostro Varesotto quando decise di diventare un grande ciclista. Qui c’era, e c’è ancora, il Centro Mapei di Castellanza diretto proprio da Sassi che ne intuì subito le qualità sportive: Evans si era messo in luce con la mountain bike, specialità di cui vinse la coppa del mondo ma era tutto da scoprire per il ciclismo su strada. Fu lì che nacque il corridore capace di vincere il Tour 2011, ma anche l’uomo che si è fatto apprezzare in questo piccolo tratto di territorio a cavallo della frontiera italo-svizzera.
In bici, oltre a battere gli avversari, Evans ha sempre dovuto lottare contro la malasorte: la sua prima e inattesa maglia rosa (2003) andò in fumo per una cosiddetta "crisi di fame" sulle Dolomiti che lo fecero precipitare in classifica. Poi ci furono i due Tour persi per meno di un minuto: nel 2007 e nel 2008 rimase alle spalle di Contador e Sastre rispettivamente per 23" e 58". E che dire di una Vuelta persa per un problema a una ruota, con i meccanici della corsa ben poco rapidi ad aiutarlo mentre gli spagnoli prendevano il largo (pure con poca sportività). O del Tour 2010, con Evans in maglia gialla che cade, si rompe un gomito e arriva al traguardo di tappa in lacrime abbracciato al gregario Santambrogio? E ancora, nel Giro dello scorso anno, quando pareva la prima alternativa a Basso arrivò la febbre a fargli perdere tempo prezioso. Ma Cadel ha sempre saputo reagire alla grande a questi sgambetti, piazzando qua e là vittorie importanti con la gemma del mondiale 2009 a Mendrisio, praticamente casa sua. Sulle salite dei propri allenamenti l’australiano ha costruito l’attacco perfetto, consolidato poi dalla sua abilità in discesa che gli permise di arrivare tutto solo al traguardo (foto di S. Raso). Una tattica che abbiamo rivisto nella tappa di Gap, dove Evans ha guadagnato ben poco ma ha costretto i rivali a tirarsi il collo per inseguirlo: lì arrivò una delle tessere di mosaico messe insieme per conquistare la maglia gialla. Un’altra, quella più importante, Cadel l’ha incastrata sul Galibier con quell’inseguimento allo scatenato Andy Schleck: uno sforzo che è valso la vittoria finale.
Descritto l’Evans corridore, non si può tacere del suo lato umano che proprio qui da noi si è rivelato in più occasioni. Tranquillo, schivo, ma anche simpatico quando si ha l’occasione di scambiarci qualche parola, ha trovato nel Varesotto una folta schiera di amici capitanati dallo scultore Pietro Scampini che gli fece da tutor al suo arrivo in Italia. E poi naturalmente c’è la moglie, la musicista gallaratese Chiara Passerini, figlia di un amico di Scampini che è al suo fianco da anni. Con lei condivide la casa di Stabio, qualche cena nel ristorante preferito, a Groppello di Gavirate e una vita quotidiana che fa della normalità e della riservatezza un punto di forza. Una forza capace di conquistare anche il Tour de France.

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Pubblicato il 23 Luglio 2011
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