“I frontalieri non sono un’arma di ricatto”
I sindacati varesini chiedono l'apertura di un tavolo istituzionale che si occupi dei lavoratori in Canton Ticino. E chiedono che Svizzera e Italia ricomincino a dialogare
Lo scudo fiscale li ha assimilati agli evasori, la Lega dei Ticinesi vorrebbe limitarne l’ingresso e alcuni politici svizzeri li accusano di portare via il lavoro ai cittadini elvetici. Poi è arrivata la crisi, alcuni licenziamenti e molti stipendi in franchi si sono deprezzati in euro. Insomma per i frontalieri gli ultimi mesi non sono stati certo dei migliori. «La situazione è molto grave – commenta Osvaldo Caro della Cisl varesina -. I problemi nascono dal fatto che le istituzioni, fatta eccezione di quelle territoriali, non conoscono minimamente questa realtà. Non sanno che ogni mattina migliaia di cittadini lasciano l’Italia diretti in Ticino per lavorare, pagano le tasse in Svizzera ma usufruiscono di servizi italiani».
Il numero di questi lavoratori è in costante crescita: sono stati 54mila nel 2011, (di cui circa 23mila del Varesotto) ai quali vanno ad aggiungersi alcune migliaia di piccoli imprenditori, generalmente artigiani, i cosidetti "padroncini", che in Ticino si spostano solo per brevi commesse o lavori saltuari. «L’entità di questo fenomeno non è ancora pienamente percepita – prosegue Marco Molteni, della Uil -. Pensiamo all’equivoco, anche se andrebbe definito in modo peggiore, dello scudo fiscale. I frontalieri, che devono avere il conto corrente in Svizzera, hanno dovuto scendere in piazza per non essere assimilati a chi portava in fuga i capitali. E solo dopo le proteste si è ottenuta la necessaria distinzione. A questo si sono aggiunte le tensioni con il Ticino generate da una politica di rifiuto del confronto da parte del precedente governo e che hanno portato alla situazione attuale dell’emergenza dei ristorni bloccati. I frontalieri sono diventati un’arma del ricatto in un dibattito internazionale che in realtà riguarda Roma e Berna e non i singoli territori».
Anche sul tema dei ristorni, secondo i sindacati, le trattative sono di esclusiva competenza dei due stati: «Gli enti territoriali – ha aggiunto Molteni – dovrebbero fare pressione affinché la quota dei ristorni venga mantenuta inalterata (38 per cento contro la proposta ticinese di portarla al 12,5, ndr) e i fondi vengano girati direttamente ai comuni di confine senza passare da Roma». «La questione dei ristorni riporta di attualità la necessità di ripristinare un dialogo con la Svizzera. Mai come in questo momento pensiamo sia necessario istituire un tavolo di confronto tra Varese e Como sul tema dei frontalieri – ha concluso Paolo Lenna, della Cgil provinciale -. È una proposta che avevamo già presentato in passato e che oggi abbiamo riproposto al prefetto. Con la speranza che venga presto accolta».
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