Le vecchie case popolari “base” del clan

Un alloggio e un box secondo l'accusa erano i depositi locali della camorra: sono nei palazzi Aler di via Cervi, fino a pochi anni fa isolati in fondo ad una strada senza uscita. Basta per dire che è un "fortino" della malavita?

Una periferia come tutte le altre, fatta di villette e palazzine. E una via stretta e a fondo cieco, fino a pochi anni fa quasi isolata e affacciata sui campi e sul bosco: le case popolari di via Cervi a Cardano al Campo, secondo le indagini dell’Antimafia di Milano, erano la base operativa ben vigilata dei referenti del clan camorristico Gionta nella zona di Malpensa. Un posto dove ogni giorno andavano a rifornirsi gli spacciatori al dettaglio, dove venivano custodite la cocaina arrivata dall’estero e le armi, le pistole con matricola abrasa buoni per difendersi e per far paura. Tutto custodito, secondo l’accusa, nell’alloggio e nel box assegnati a Michele Ranieri.  «Io di solito bado ai fatti miei, non dico niente» mormora un signore anziano dall’aria mite nel cortile delle case popolari, due palazzoni tirati su negli anni Settanta e gestiti da Aler. Scuote il capo, ripete: «Non dico niente» e con gli occhi e un sorriso appena accennato dice ce ne sarebbe eccome, da dire. «Non ne sapevo nulla» dice solo, stupefatto, un abitante del cortile che rientra dal lavoro. «Là dentro nessuno dirà mai niente» mormorano invece i residenti di alcune case di una via vicina.

Ma basta per parlare di via Cervi come di un "fortino" della camorra? «In quelle case abitano tante brave persone, alcune le abbiamo incontrate anche in questi ultimi anni perché avevano difficoltà con il lavoro che manca» dice il sindaco Mario Aspesi, che ribadisce che mai si è guardato a via Cervi come ad un problema nel suo complesso, neppure dopo la sparatoria di luglio che – con l’inchiesta – mise sotto i riflettori la vita di Michele Ranieri, passato dal ruolo di aggressore a quello di vittima. «Le case di Via Cervi non sono certo nella stessa situazione in cui era la palazzina di via Seprio», l’edificio (privato) divenuto un luogo di spaccio e di prostituzione e oggi in via di riqualificazione.
Certo, il complesso di via Fratelli Cervi, gestito e di proprietà dell’Aler, non gode di ottima salute, con la recinzione in rete metallica arrugginita, i pilastrini di cemento con i tondini di ferro in vista, il cortile sterrato con buche e pozzanghere. Ma non è certo un ghetto da grande periferia cittadina. La riprova sta nel fatto che i due palazzi beige, un tempo isolati, oggi sono circondati da tante villette e palazzine nuove, in via Cervi e nella retrostante via Berlinguer, dove ancora sono aperti i cantieri per altre case, dietro le reti arancioni.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 07 Marzo 2012
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