Max De Aloe: “Un disco “meticcio” che vi presento con Paolo Fresu”
L'armonicista presenta il suo nuovo disco, “Bjork on the moon”, mercoledì 23 maggio con un concerto al Teatro Condominio che vedrà come ospite il trombettista. Ecco come si racconta
Qualcosa da scoprire, da conoscere, da interpretare. Il nuovo disco di Max De Aloe nasce da una curiosità: «intuivo nella musica di Bjork qualcosa di misterioso, qualcosa che avrei potuto fare mio. Questo disco non vuole essere un tributo da fan ma è stato un processo di scoperta, di avvicinamento alla sua musica per reinterpretarla in chiave jazz». Nasce così “Bjork on the moon”, un lavoro dove l’armonica cromatica di Max De Aloe suona su dodici brani che entrano nelle armonie della cantante islandese. «Il jazz ti permette di fare questo. Sono sempre stato molto attratto dai “meticciamenti”, approcciare a musiche differenti, mischiare la tradizione del jazz con altre sonorità. Credo che la parola “jazz” oggi sia troppo breve per contenere tutto quello che può “essere”».
Nato a Busto Arsizio, classe 1968, Max De Aloe suona da vent’anni, ha alle spalle una lunga carriera fatta di palcoscenici e collaborazioni con artisti nazionali e stranieri. Con la sua armonica ha girato l’Italia ma anche l’Europa e l’Africa. Sarà anche per questo che la ricerca di nuovi “mondi” si presenta così decisiva anche in quest’ultimo disco che presenterà a Gallarate, al Teatro Condomio, mercoledì 23 maggio, con un concerto che vedrà come ospite d’eccezione Paolo Fresu. «Un’amicizia che dura da vent’anni. È la prima volta che suoniamo insieme e vedremo quello che verrà fuori. L’armonica e la tromba sono strumenti che solitamente non si trovano insieme ma credo che ne potrà uscire qualcosa di molto bello». Sul palco anche la violoncellista brasiliana Marlise Goidanich e i musicisti che da sempre accompagnano Max in questa carriera musicale: Roberto Olzer al pianoforte, Marco Mistrangelo al contrabbasso, Nicola Stranieri alla batteria, Marlise Goidanich al violoncello barocco. «Amo lavorare con una formazione stabile. Il Jazz ti permette di suonare con tanti artisti, conoscere e imparare. Tornare alla tua formazione con nuove esperienze sulle spalle ti permette di costruire qualcosa di nuovo insieme». E quando si parla di jazz, con chi è di mestiere, si arriva a capire che c’è ancora molto da fare per quello che sembra un genere privilegiato da pochi. «Credo che ci sia il preconcetto che il jazz sia tutto uguale. Quando si parla di rock si pensano a gruppi molto differenti tra loro, uno ti può piacere e l’altro no. Quando si parla di jazz sembra non essere così e questo è un peccato. Oggi manca la curiosità nelle persone, la voglia di conoscere ed è la cosa che fa più paura». Eppure, i musicisti sembrano pronti a proporre al pubblico sonorità nuove e a lasciare in disparte la concezione del jazz che rimanda solo ai classici. «Ci sentiamo più grandi. Abbiamo progetti originali che non hanno paura di essere presentati. In Italia ci sono tantissimi talenti musicali in questo settore. Penso a Glauco Venier, Marco Detto, Marcella Carboni…». Tornando all’armonica cromatica di Max invece si parla di “amore”. «Suonavo il pianoforte ma quando ha iniziato a suonare l’armonica è stata una folgorazione e non l’ho più abbandonata. In un certo senso è stata anche una fortuna perché, avere un’armonica nel jazz è molto raro e quindi ho sempre trovato posto nei gruppi. Dall’altra parte però, è uno strumento con pochissima didattica e mi piacerebbe fossimo molti di più a suonarlo». Intanto si torna a parlare di quest’ultimo disco dalle sonorità islandesi. Sei mai stato in Islanda?«No e forse non ci andrò. Come disse Gabriele Vacis il viaggio può essere in due modi, spostandosi o rimanendo in poltrona e usando l’immaginazione e, per me, scrivendo musica».
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