Babi Yar, gli ebrei uccisi tre volte

Gli ebrei di Kiev, capitale dellUcraina, sono stati uccisi tre volte: prima dagli Einsatzcommandos tedeschi aiutati dalla polizia locale ucraina, poi dai comunisti e infine dal governo della Repubblica Ucraina postcomunista

Se in occasione degli Europei di calcio i calciatori della nazionale italiana passassero dalle parti di Kiev, dovrebbero fare una visita anche alle fosse di Babi Yar. Certo, non è conosciuto quanto Auschwitz, ma quel luogo, che oggi è diventato un parco alle porte della capitale dell’Ucraina, a partire dal 29 settembre 1941 divenne uno dei centri principali del massacro degli ebrei che vivevano in quella regione.
A Babi Yar bisogna andarci perché le 33.771 persone seppellite in quel luogo sono state uccise almeno tre volte: prima dagli Einsatzcommandos tedeschi aiutati dalla polizia locale ucraina, poi dall’oblio imposto dai comunisti e infine dall’indifferenza del governo della Repubblica Ucraina postcomunista.
La notizia dell’esecuzione di massa fu riferita il 17 dicembre del 1941 in un comunicato stampa del Joint Foreign Committee of the board of Deputies of British Jews (Commissione mista degli affari esteri del consiglio dei delegati degli ebrei britannici). Purtroppo nessuno credeva a quei rapporti, ritenuti troppo allarmanti e perciò inverosimili. Nel dicembre del 1943, però, dopo la liberazione di Kiev da parte dell’Armata Rossa, i cadaveri vennero disseppelliti dalle fosse di Babi Yar. Il rapporto ufficiale affermava che in quel luogo erano stati sterminati oltre 30 mila ebrei, ma il Cremlino ribaltò un pezzo della verità, affermando che i «banditi nazisti avevano ammazzato civili sovietici», negando così un capitolo importante della Shoah perché a morire in quelle fosse a colpi di fucile e mitragliatrice furono ebrei o «giudei», come era indicato nell’avviso che il 28 settembre del 1941 intimava alla popolazione ebraica di radunarsi in diversi punti della città. Donne, uomini, vecchi e bambini sfilarono a piedi, con pochi averi al seguito, sotto gli occhi della popolazione non ebraica di Kiev che assisteva allo spettacolo con la prospettiva di andare a spartirsi i beni lasciati dai loro ex vicini di casa.
Il comitato antifascista ebraico, di cui faceva parte anche Vassily Grossman, cercò di pubblicare il libro nero sull’eccidio, puntualmente stoppato dalle autorità russe. Stessa sorte toccò al romanzo “Babi Yar” scritto da Anatoly Kuznetsov, nativo di Kiev e testimone oculare di quei tragici eventi. Quindici anni dopo la fine della guerra, a Babi Yar era scomparsa quasi ogni traccia del massacro e della presenza ebraica a Kiev, cimitero compreso.
Ci penserà l’arte – come spesso accade – a ricercare una verità che il regime sovietico voleva rimuovere a tutti i costi: nel 1961 una poesia di Yevgeni Yevtushenko ricorderà al mondo ciò che era accaduto a Babi Yar («Io sono ognuno dei vecchi fucilati qui, io sono ognuno dei bambini fucilati qui»), versi che Dmitrij Shostakovich metterà in musica nella Sinfonia numero 13.
Negli anni che seguirono, a Babi Yar vennero apposte tre targhe: le prime due con scritte in russo e in ucraino, a ribadire che quel luogo apparteneva alla memoria dei sovietici e non degli ebrei, considerati di fatto un corpo estraneo nonostante fossero lì da secoli. Solo nel 1989 e dopo la caduta del regime comunista, comparirà anche una targa in Yiddish, la lingua parlata dalle comunità ebraiche dell’Europa orientale e quindi anche da quella di Kiev.
Nel 1992 il governo ucraino metterà una croce a ricordo degli ucraini uccisi durante la guerra, gli stessi collaborazionisti che appartenevano alla polizia ausiliaria locale il cui ruolo nel massacro, a fianco delle Ss tedesche, fu determinante.
La Repubblica indipendente ha avuto tanta fretta di dimenticare, almeno quanta ne ha avuta il regime comunista sovietico. Oggi ad accogliere i visitatori che arrivano alle fosse di Babi Yar, ormai inghiottite dall’urbanizzazione selvaggia iniziata nel 1999, c’è una menorah (il candelabro a sette bracci simbolo della tradizione ebraica) che porta i segni del vandalismo antisemita ancora molto presente da quelle parti. E a sovrastarlo, come a ribadire che la storia di quegli ebrei massacrati non riguarda quella comunità, c’è una antenna della Telecom ucraina che buca il cielo livido di Kiev.
Shalom.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 09 Giugno 2012
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