Cosa resterà del messaggio di Steve Jobs?

A un anno dalla morte del fondatore di Apple in molti si chiedono che cosa è rimasto del suo testamento spirituale e quale sarà il futuro dell'azienda

È trascorso un anno dalla morte di Steve Jobs, avvenuta il 5 ottobre del 2011 a Palo Alto, quartier generale della sua creatura rivoluzionaria, la Apple. In molti continuano a interrogarsi su quello che sarà il futuro dell’azienda senza il suo fondatore, anche alla luce dell’arrivo sul mercato dell’ultimo prodotto, l’iPhone 5. Ma la domanda vera è anche e soprattutto cosa rimarrà del suo messaggio, del suo testamento spirituale, dello "stay hungry, stay foolish" che ha commosso e stimolato il mondo. Su Repubblica, il giornalista Ernesto Assante, riflette sul successore di Jobs:

Tim Cook non è Jobs, ed è bene che non lo sia, perché la Apple che lui deve gestire è diversa. Ed è bene anche che non cerchi di imitarlo, che non provi ancora a forzare la sua natura costringendosi a salire in scena per i "keynote" di presentazione dei prodotti per interpretare un ruolo non suo. Certo, è il "padrone di casa", e deve esserci per dare il benvenuto, ma la sua completa mancanza di fascino, di carisma, di forza comunicativa, rende le sue "esibizioni" poco meno che inutili e, come nell’ultima occasione, esageratamente autoelogiative. Ma Cook è in grado di gestire l’azienda, di farla marciare al ritmo necessario, di far quadrare i conti, di realizzare gli obbiettivi, di restare al passo con i tempi, di affrontare gli avversari. Non è Jobs, ma è il nuovo capo della nuova Apple, quella che ancora non abbiamo visto e che, nei prossimi mesi, vedremo manifestarsi sul mercato.

E’ passato un anno, ma è come se fossimo entrati in un’altra era della rivoluzione digitale, che vedrà nuove macchine, nuove idee e nuovi personaggi farsi avanti. Un’era che, speriamo, avrà nuovi visionari pronti a immaginare il futuro.

Su La Stampa è Gianluca Nicoletti a interrogarsi, o meglio a chiedersi che fine abbia fatto l’eredità di Steve Jobs:

Il suo testamento spirituale è già bello che dimenticato, resta la forza del simbolo attaccato a tutti i prodotti fatti in suo nome. Venerdì passato, in classe, molti erano gli studenti che mancavano all’appello. Tutti andati a fare la fila per accaparrarsi il nuovo iPhone 5, esattamente come la generazione dei loro padri, più o meno in questa stagione, disertava in blocco una mattinata destinata a Plutarco perché in città era arrivato il luna park.
Steve Jobs avrebbe avuto tutte le virtù eroiche per diventare il primo santo del nuovo mondo digitale, ma la sua memoria si è liquefatta per il principio ferreo che regola quell’universo e per cui ogni memoria è sovrascrivibile. La fama di Steve Jobs non sarebbe mai potuta restare intatta nell’agiografia dei primi giorni dopo la morte. La Rete, cui lui stesso ha contribuito a dare esistenza, non tollera valori assoluti. La Rete rimastica, condivide e diluisce ogni aspirazione all’eternità.

"Non avrebbe amato questo anniversario, come non amava compleanni e ricorrenze", scrive sempre su La Stampa, il blogger di Mondo Mac, Bruno Ruffilli :

Quando tornò a Cupertino dopo gli anni dell’esilio in Next, fece liberare i locali del museo Apple, dove era conservato un esemplare dell’intera produzione fin dal primo computer del 1976: “Abbiamo bisogno di spazio”, disse. Gli apparecchi furono donati all’università di Stanford, la stessa del famoso discorso dove parla di “connettere i puntini” per dare senso alla propria vita. Ma i puntini non sono i milioni di iPod o iPhone, e nemmeno i miliardi di dollari; sono le vittorie dell’anima, le piccole tacche segnate nella storia personale e universale. E non basta aver creato un’invenzione geniale, bisogna imparare a ricominciare da capo ogni volta. Perché la vita è un continuo movimento, come ben sa il Faust di Goethe, che perde la sua anima proprio quando si ferma per vivere un attimo perfetto.

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Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Ottobre 2012
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