Lasciateci lavorare!
Il Presidente dell'Unione degli industriali della provincia di Varese prende posizione sugli ultimi provvedimenti giudiziari che hanno portato alla chiusura di alcuni stabilimenti del settore siderurgico
"Lasciateci lavorare!". È una frase già contenuta nella mia relazione alla Assemblea Generale dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese dello scorso 27 maggio. Una frase tanto breve quanto emblematica dello stato d’animo che serpeggia da tempo tra gli imprenditori, anche di questo territorio, e che ha visto purtroppo in questi giorni, con la vicenda del blocco dell’attività produttiva in sette stabilimenti del gruppo Riva Acciaio, tra i quali quello storico di Caronno Pertusella, in provincia di Varese, una nuova dimostrazione di scarsa attenzione verso il mondo delle imprese e del lavoro.
Non entro naturalmente nel merito del provvedimento della magistratura che ha disposto il sequestro preventivo di quegli stabilimenti. Ma non posso non evidenziare gli effetti che ne conseguono, particolari e più generali.
Millequattrocento lavoratori a casa in conseguenza del sequestro dei beni strumentali per la produzione e dei conti correnti. Una perdita di produzione pregiata, parte della quale rivolta anche all’esportazione e una perdita di lavoro per il vasto mondo dell’indotto. Conseguenze negative lungo l’intera catena della siderurgia e della meccanica, con impossibilità di rifornire la clientela, costretta quindi a rivolgersi anche a produttori esteri. Blocco dei pagamenti ai fornitori, in questo momento già molto critico per la liquidità delle imprese. Prospettive serie di perdere definitivamente quote di mercato faticosamente conquistate. A questo proposito è bene ricordare che un’impresa non è solo un insieme di macchinari sotto una tettoia. E’, invece, una realtà complessa che ha un valore nel momento in cui vive.
Quando dispone di capitali per funzionare, quando ha lavoratori dotati di esperienza, quando ha fornitori qualificati e clienti solvibili, quando produce utili, quando in definitiva ha una propria consolidata quota di mercato. Ci si domanda: quale potrà essere domani il valore delle aziende sequestrate oggi e di quelle della più ampia filiera?
Pur nell’ovvio rispetto delle regole e delle leggi, non si può tuttavia evitare di domandarsi come si possa mantenere al meglio questi valori nel momento in cui le imprese non sono messe in grado di operare e svilupparsi, non solo a fronte di situazioni contingenti, ma anche e soprattutto per una vischiosità dl nostro sistema, più volte conclamata ma mai affrontata e risolta.
Certamente, il nostro Paese soffre di norme e procedure complesse, farraginose, difficili da applicare da parte di tutti i soggetti coinvolti. Ciò non toglie però che non si debbano ricercare soluzioni non traumatiche e che, allo stesso tempo, soprattutto anche in via ordinaria, si sappiano creare le migliori condizioni di contesto per lo sviluppo e il lavoro, anche per attrarre gli interessi degli imprenditori esteri.
La situazione attuale, invece, scoraggia gli investitori istituzionali e industriali a considerare l’Italia come possibile partner. Questo è certamente il compito della politica e delle istituzioni e il Paese ha bisogno di uscire dalla palude della litigiosità ininterrotta per dedicarsi ai gravi problemi economici e sociali che sta vivendo.
Ciò che è accaduto in questo frangente non è, ahimé, un caso isolato. E’ un caso eclatante, ma si aggiunge purtroppo alla numerosa serie di episodi che vedono le imprese stoppate nella loro potenzialità dalla snervante burocrazia e dalla complessità delle norme, in un clima dal quale si percepisce una diffusa cultura anti-industriale che rischia di minare il tradizionale entusiasmo e la fiducia dell’imprenditoria tutta. Ma attenzione: non si può alla lunga vivere tutti di cassa integrazione.
Bisogna lasciar lavorare le imprese, se si vuole creare ricchezza. Una ricchezza per tutti. Per questo ripetiamo: lasciateci lavorare!
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