“Chi inquina paga è un principio inequivocabile”
Il Consiglio di Stato avvalora il principio del “chi inquina paga”, ma il decreto Salva Roma crea solo confusione. L'intervento di Mauro Colombo (direttore Confartigianato Imprese Varese): «Il Salva Roma ter peggiora le cose»
Con la conversione del decreto legge “Salva Roma ter”, torna l’assimilazione dei rifiuti a misura di Comune. Nel decreto, infatti, si stabilisce che ogni amministrazione pubblica può sì riconoscere alcune riduzioni del tributo – in quei casi in cui il produttore dimostra di aver avviato al riciclo i propri rifiuti speciali – ma, nello stesso tempo, è autorizzata a disciplinare anche le aree di produzione dei rifiuti speciali non assimilabili delle imprese.
Tutto questo è in forte contrasto con il principio europeo del “chi inquina paga”, sancito recentemente dalla Direttiva Rifiuti n. 98/2008 (recepita dall’Italia dal d.lgs n. 205/2010) e da una sentenza del Consiglio di Stato (del 26/09/2013) che stabiliscono – invece – l’esclusione dalla tassa rifiuti di tutte quelle aree produttive dove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali al cui smaltimento sono tenuti a provvedere, a proprie spese, i relativi produttori.
«Il principio comunitario “chi inquina paga” – dichiara Mauro Colombo, direttore di Confartigianato Imprese Varese – ci ha sempre guidato nel sostenere ciò che il legislatore ha indicato: a pagare la tassa rifiuti devono essere solo coloro che usufruiscono del servizio pubblico, e non le imprese di produzione e il manifatturiero (artigianali e non) che sono obbligate alla gestione degli imballaggi, al pagamento dei contributi ai consorzi di filiera, alla gestione Sistri, Conai, Mud e allo smaltimento tramite aziende autorizzate dei propri rifiuti: in questi casi ben poco è conferito alla raccolta urbana».
È evidente, però, che questa facoltà – da parte dei Comuni – di individuare le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili, rimette in discussione un principio che è inequivocabile. La nuova proposta di modifica al comma 649, proposto nel Salva Roma Ter, peggiora le cose: conferma, infatti, che non c’è nessuna volontà di considerare la TARI correlata ad un servizio ma, anzi, di imporla come una nuova tassa che va a penalizzare le imprese.
Se si dovesse proseguire in questa direzione, lasciando facoltà ai singoli Comuni di confermare o introdurre eventuali limitazioni a questo principio, sarà necessario intervenire e ricorrere contro queste “libere interpretazioni” per vedersi riconosciuto un diritto che Confartigianato Imprese Varese riconosce – come già detto – inequivocabile.
Se i Comuni hanno l’esigenza di tarare i propri bilanci in base ai regolamenti del Dpr. 158/1999, meglio sarebbe ricorrere a ragionevolezza, logica e condivisione. «Anche qui – prosegue il direttore Colombo – Confartigianato Imprese Varese ha più volte sollecitato i sindaci: prima di deliberare le tariffe (frutto solo di calcoli matematici e di poco buon senso) sarebbe opportuno confrontarsi con chi conosce bene il tessuto imprenditoriale del territorio. Le tante proteste e l’enorme confusione generate dalla TARES, si sarebbero potute evitare se le amministrazioni comunali avessero accettato il nostro invito a fare “rete”: per mappare il territorio e verificare le aree imprenditoriali, compilare questionari di ri-verifica delle aree, usufruire delle capacità e professionalità in tema ambientale che le Associazioni possono offrire alle imprese. Solo la collaborazione fra enti e imprese porta ad una ottimizzazione delle risorse ed ad un vantaggio per il territorio e le sue imprese».
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