Un’estate in Giappone: per incontrare il mondo e me stesso

Niccolò ha trascorso due mesi nella quarta città più grande del paese nipponico. Partito a 17 anni, ha vissuto un'esperienza che lo ha cambiato. Il suo racconto

 Scendendo dalle scalette dell’aereo, capisci di non essere in un posto qualunque. Profumi orientali che penetrano nelle narici e si diffondono subito nel cuore. La magia del Sol Levante è invisibile, ma riesce a stregarti quando meno te l’aspetti. Oltre 20 ore di volo, durante le quali non fai altro che tartassare il cervello di domande a cui non potrai mai dare una risposta. Sei settimane lontano da casa e da quello che per 17 anni è stato il tuo mondo. 

Ricordo perfettamente quando scelsi di provare questa esperienza: avevo sentito spesso parlare di Intercultra e mi sono voluto informare. C’era la possibilità di partecipare ad un programma estivo, colgo subito l’attimo.
Un’esperienza completamente nuova che mi potrebbe aprire gli orizzonti, alimentando nuove passioni. Posso scegliere 10 paesi, da stilare in ordine di preferenza. Finlandia, Canada e Giappone erano i primi tre. Iniziano le selezioni, affrontate con una leggera proccupazione, ma tranquillo e sicuro dei miei mezzi. Visita in famiglia da parte dei volontari, qualche colloquio e poi la conferma: idoneo per il programma estivo in Giappone. 

«È un’occasione impareggiabile, solo in pochi vengono selezionati per quel pacchetto» mi dice uno dei volontari. Una soddisfazione personale immensa, per settimane viaggio con la testa tra le nuvole fantasticando su quello che sarebbe stato. Poi, iniziano i corsi di formazione pre-partenza, chiusi da un "ritiro" di due giorni sul lago di Como: ho la possibilità di conoscere persone fantastiche, volontari e ragazzi della mia età, ciascuno pronto a sostenere il prossimo in vista dell’esperienza formativa della vita. 

Il giorno della partenza arriva quasi senza che me ne accorga. Ritrovo a Roma con gli altri ragazzi italiani selezionati, un piccolo corso di revisione e via. Il viaggio sembra interminabile, scalo a Hong Kong, Taipei e poi finalmente Nagoya

Appena arrivati, partecipiamo a un corso di orientamento per tre giorni presso un college e veniamo inseriti nelle nostre famiglie ospitanti. La mia è composta da tre persone: mamma, papà, fratellino più piccolo e Max, un beagle. Mi accolgono subito con cordialità e affetto. L’unica pecca è il violino, che mio fratello suona veementemente alle 6 del mattino. Ma ammettiamolo, chi non ha mai desiderato una sveglia con Vivaldi? 

La lingua è il primo ostacolo da affrontare: non conosco assolutamente il giapponese e l’inglese non è il punto di forza dei Nipponici. Mia madre ospitante (fortunatamente) insegna inglese in una scuola superiore. E questo mi salva. Frequento per un mese una scuola giapponese con insegnanti specializzati nel far apprendere la lingua locale agli stranieri. 80 ore mensili, una vera e propria full immersion. 

Immancabile l’obento, il tradizionale pranzo al sacco giapponese. La cucina merita un discorso a parte: sushi, sashimi, tempura ma, soprattutto, il riso. Servito a colazione, pranzo e cena, è un ingrediente presente in quasi tutte le specialità, tanto che il suo termine è sinonimo di pranzo ("gohan" può essere usato per indicare il piatto, ma anche il pasto in generale). 

La mia abitazione è in un paesino piuttosto tranquillo, la scuola invece nella quarta maggiore città del Giappone, Nagoya. Una vera e propria metropoli, brulicante di persone di ogni tipo. 20 minuti di treno (rigorosamente puntualissimo) ed vengo catapultato nel trambusto giapponese. 

Tra le esperienze più significative la gita al Fuji e a Tokyo: il vulcano più alto del Giappone e simbolo del paese, e la sua capitale. Un proverbio giapponese recita:" "La persona che non sale sulla montagna Fuji è uno stupido, così come quella che ci sale due volte".  Sperimento di persona il senso di questa citazione. 12 ore di camminata su porfidi, ma ne  vale la pena. Tokyo è invece la città più affollata e movimentata che abbia mai visto. Grattacieli che si perdono nel cielo, insegne luminose animate, linee metropolitane sovraelevate e ristoranti tipici. Uno scenario unico impresso nella mia memoria.

Ancora mi risulta difficile comprendere l’affascinante e quasi contraddittoria cultura giapponese: un popolo legato alla sua storia ma con un occhio sempre al futuro. Treni ad alta velocità che sfrecciano a fianco delle tipiche case a pagoda, anziane con il kimono intente a maneggiare lo smartphone di ultima generazione. Tradizione e innovazione che si fondono e trovano la loro massima coesione in queste quattro isole meravigliose. 

Non dimenticherò mai le sensazioni uniche che ho provato, i primi giorni di paura e la determinazione con cui riesco a vivere questa esperienza. Al mio ritorno, sento che qualcosa in me era cambiato. Non do più nulla per scontato, apprezzo ogni minimo dettaglio e riesco a capire il significato di "cogliere l’attimo": apprezzare e ringraziare per ogni minima occasione che ci viene offerta. 

Ragazzi, prendete le valigie e partite. Scoprirete parti di voi che non conoscevate, scoprirete il piacere di viaggiare, scoprirete il mondo.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Luglio 2014
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