Storie di Imprese

Nasce ad Arcisate il trolley del super vip

È nata nel 1956 in una cantina di Viale Belforte, oggi si divide tra Hong Kong, Dubai e Arcisate, dove lavora anche con una stampante 3D. La Travetti Srl è leader nella componentistica per articoli da viaggio: dalle maniglie delle valigie, alle rotelle dei trolley

Alzi la mano chi non ha un trolley. Il geniale accessorio, balzato recentemente agli onori delle cronache e inventato quasi trent’anni fa da un pilota d’aerei, Roberth Plath, non ha solo rivoluzionato il nostro modo di viaggiare, ma ha anche imposto uno stile.
Viaggiare con un trolley infatti non è solo più comodo, ma ha obbligato designer, ingegneri e stilisti a ridisegnare i vani portabagagli degli aerei, a inventare ogni tipo di rotella e a ripensare completamente il concetto di valigia.
Tra i protagonisti assoluti di questa trasformazione c’è una piccola azienda di Arcisate, la Travetti. Un’impresa nata dalla spinta propulsiva di Oreste, che nel 1956 decise di mettersi in proprio, e che oggi lavora per i più noti e prestigiosi brand del settore. Siamo andati a trovare Pierangelo e Alessio, padre e figlio (nella foto sopra) che tra un viaggio in Cina e uno a Dubai, hanno trovato il tempo per raccontarci la storia della loro impresa.

Pierangelo, quand’è che suo padre Oreste ha deciso di specializzarsi nel settore della valigeria?
«La storia della Travetti inizia nel dopoguerra, quando mio padre faceva il portinaio per una delle più grosse aziende del varesotto, "La Primaria valigeria italiana". Dato che non era necessario presidiare il cancello otto ore al giorno, l’ingegner Toia, il titolare dell’azienda, gli propose di lavorare anche in produzione e così papà divenne un tecnico. Il lavoro lo appassionò a tal punto che nella cantina di casa nostra, in Viale Belforte, creò un piccolo laboratorio dove la sera si esercitava a piegare il metallo per costruire i telai delle valigie. Dopo qualche tempo inventò una macchina per velocizzare e facilitare il lavoro della costruzione dei telai delle valigie».

Una bella idea considerando che in quegli anni era il Paese intero a muoversi..

«Infatti. Presentò la sua macchina al dottor Toia e si offrì di rifornire "La primaria valigeria italiana" di tutti i telai necessari».

Nasce tutto allora?
«Sì, nel 1956 papà decide di mettersi in proprio, lavorando con mio fratello Pinuccio. A quell’epoca io lavoravo nel settore delle stoffe e la sera studiavo ragioneria. Poi mio padre mi offrì di lavorare con loro».

Erano gli anni del miracolo economico, cosa rimpiangere di quel periodo?
«Non si può dire che all’epoca andasse tutto bene. Forse l’unica cosa che rimpiango di quegli anni è lo spirito. Una volta c’era la soddisfazione di lavorare per clienti che si affezionavano al tuo modo di lavorare, alla tua serietà e professionalità. Oggi il cliente ha un’offerta molto più ampia, quindi è anche più impaziente. Ma c’è qualcosa di molto positivo anche oggi».

Cosa?
«Viviamo di continui rinnovamenti dei processi produttivi, di miglioramenti nell’organizzazione aziendale e non solo. Attualmente, per farle un esempio, in Travetti applichiamo il metodo Kaizen».

Prego?
«Se posso, cerco di riassumerglielo (risponde Alessio, che siede a fianco di Pierangelo). Deriva dal giapponense: Kai (cambiamento, miglioramento) e Zen (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento continuo. Il metodo Kaizen è un ottimizzazione dei processi produttivi e un livellamento dei carichi di lavoro sugli operatori finalizzato alla qualità totale del prodotto. Ogni dipendente è in grado di svolgere più mansioni perché è cosciente di tutti i processi produttivi».

Un po’ come Oreste, in grado di essere tecnico e portinaio contemporaneamente. Parliamo dei prodotti, qual è il vostro core business?
«Noi produciamo componentistica per articoli da viaggio: ruote, telai, maniglie, manici di valigie, borsoni, trolley, cartelle, pilot o, come si dice in italiano, pilotino, la valigia tipica del pilota d’aerei».

Chi sono i vostri clienti?
«I nostri clienti sono i maggiori brand, a livello mondiale, di moda e valigeria. In più, tutti quei piccoli e medi artigiani italiani che hanno un grande talento, ma non un nome riconosciuto dal consumatore e che compongono l’ossatura del Made in Italy».

E come entrate in contatto con queste realtà?
«Quando arriva l’ordine da un grande cliente, il capofila di una filiera diciamo, noi ci rapportiamo con il piccolo artigiano certificato e supervisionato dal brand. Quindi inizia un rapporto costante per realizzare il prodotto finale richiesto dal marchio».

Conoscete anche la situazione in cui vivono questi artigiani?
«Sì. Oggi buona parte di loro sta assistendo a un ritorno del lavoro grazie al fatto che le grandi firme stanno tornando a cercare il Made in Italy, dopo anni di delocalizzazioni. Riconoscendogli, finalmente, una grandissima professionalità».

Perché voi non avete subito queste delocalizzazioni?
«Diciamo che la nostra è una nicchia piccola. Negli anni ci siamo specializzati moltissimo e a livello di know-how i nostri clienti hanno riconosciuto in noi la massimo professionalità. Ma in questo c’è un vantaggio e allo stesso tempo una "condanna"».

Qual è la condanna?
«Non cresceremo mai più di tanto».

Ma scusi, un giorno non potreste rifornire i grandi mercati emergenti come quello russo, cinese, brasiliano, etc?
«In un certo senso la condanna è imposta. Noi vogliamo rimanere piccoli, nella nostra nicchia fatta di grande professionalità e competenza. Espandersi troppo nel nostro settore vuol dire non essere più in grado di seguire in modo appropriato i progetti che i nostri clienti ci affidano. A noi si rivolgono designer, stilisti, creativi, persone che amano essere seguite in tutto e per tutto».

Ma i grandi marchi, oltre a essere buoni clienti, sono anche buoni partner? Mi spiego, a Scandicci nel distretto della pelletteria, Gucci ha chiesto alle banche che i propri fornitori avessero gli stessi tassi di interesse che proponevano a lui. Anche per voi è così?
«Noi non abbiamo mai pensato di chiedere ai grandi marchi un aiuto di questo tipo. Ci siamo sempre rivolti direttamente alle banche e la risposta degli istituti di credito è sempre stata parametrata agli sterili numeri di bilancio. Ma noi abbiamo sempre preferito percorrere un’altra strada».

Quale?
«Ci siamo sempre autofinanziati, reinvestendo la totalità degli utili in formazione, tecnologia e processi produttivi».

A proposito di tecnologia, vedo alla sua destra una stampante 3D, è solo un giocattolo o anche un macchinario di lavoro?
«È soprattutto un macchinario di lavoro e attualmente è funzionante 24 ore su 24. Abbiamo valutato questo investimento, viste le sempre più numerose richieste di articoli personalizzati»

In che senso personalizzati?
«Le faccio un esempio: un cliente ci ha chiesto dei realizzare l’impugnatura di un trolley a forma di manico di coltello, un altro la rotellina di un trolley con la forma di un cerchio di una nota casa automobilistica. Noi partiamo da quel disegno a matita, gli stilisti disegnano sempre a matita (sorride Alessio), quindi creiamo un rendering tramite un software di modellazione 3D e poi lo stampiamo con la nostra stampante».

Come è avvenuto questo passaggio al digitale?
«Di base c’era una necessità. Dal disegno a matita, i nostri clienti chiedevano sempre più spesso pezzi fatti e finiti. Grazie a un servizio giornalistico siamo venuti a conoscenza delle potenzialità della stampa 3D. Contemporaneamente a Tradate era nato il Faberlab e grazie a Confartigianato Imprese Varese siamo andati a visitarlo. Lì abbiamo stampato il nostro primo pezzo».

E da lì come è andata avanti la collaborazione con Faberlab?
«I ragazzi del Faberlab si sono dimostrati molto collaborativi e ci hanno consigliato come muoverci. Così, sulla base dei loro suggerimenti, abbiamo acquistato una stampante».

Un servizio utile per la Travetti?
«All’inizio avevamo l’idea che il mondo delle stampanti 3D fosse inaccessibile. Invece, in tre mesi di lavoro, non solo abbiamo imparato a usarla, ma ci ha agevolato notevolmente nella nostra attività quotidiana e ci ha portato molte nuove commissioni».

In che senso?
«Non appena diciamo che abbiamo una stampante 3D, i nostri clienti ci inoltrano progetti e idee».

Ora sul vostro sito avete anche la notizia che stampate in 3D?
«Per il momento abbiamo solo un pop-up, ma presto provvederemo a fare qualcosa di più. Nel frattempo abbiamo portato in fiera "Linea Pelle" a Milano, la nostra stampante e questo ha attirato lo sguardo di tanti clienti».

Chissà, magari stamperete per primi la rotella fonoassorbente che risolva il problema del rumore dei trolley insorto a Venezia.
«In un certo senso ci stiamo già pensando…»

Siete spesso in viaggio. Come è avvenuta l’internazionalizzazione per la Travetti?
«Viaggiamo molto perché vogliamo espanderci. Sono solo tre anni che abbiamo puntato sull’export, ma i risultati che abbiamo conseguito ci spingono a proseguire in questa direzione».

Cosa è successo tre anni fa?
«Avevamo sempre più richieste che provenivano dall’estero, i nostri clienti ci contattavano tramite internet o alle fiere di settore. Abbiamo così deciso di assumere una persona che avesse un’ottima conoscenza delle lingue e di dedicarla completamente all’export e questo ha portato i suoi frutti».

Quanti dipendenti ha la Travetti?
«Sette dipendenti, tre in ufficio e quattro in produzione, tutti a contratto a tempo indeterminato».

Conoscete Garanzia Giovani?
«Sì, lo stiamo valutando seriamente per un nuovo inserimento in azienda. Una figura da affiancare all’ufficio estero».

Alessio, prima mi accennava dei suoi studi in Giusrisprudenza. Si è mai pentito di non essere diventato un avvocato?
«Sono sincero, da quando mio padre mi ha proposto di lavorare con lui, non mi sono pentito un giorno della scelta fatta».

L’IMPRESA DELLE MERAVIGLIE 


Scheda dell’azienda 
Travetti Srl
Via Campi Maggiori 25 
Arcisate (Va) 21051
Tel. 0332472522
e-mail: info@travetti.com

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 28 Novembre 2014
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