“Stellato” a soli 31 anni: Massimo Mentasti nell’Olimpo degli chef
Tra le nuove "stelle Michelin" anche un varesino che lavora in Piemonte: «Amo la carne, i risotti e i sapori di una volta. E a chi siede per la prima volta in un ristorante gourmet, dico...»
Trentun’anni appena, una solida tradizione familiare alle spalle, una passione che lo ha coinvolto fin da bambino e che gli ha consentito di entrare giovanissimo nell’Olimpo della ristorazione. Massimo Mentasti, classe 1983, è da ieri (martedì 4 novembre) nel ristretto e ambitissimo novero degli "chef stellati", quelli cioé che hanno ricevuto un riconoscimento dalla prestigiosa Guida Michelin, presentata a Milano nella sua edizione 2015.
Un alloro, ahinoi, maturato lontano dalla nostra provincia, dove Massimo ha solide radici familiari e lavorative («Mia nonna aveva una gastronomia in via San Martino a Varese, mio padre gestisce la salumeria di Gazzada che porta il nostro cognome») ma dove per il momento ci sono pochi spazi per la cucina di un certo tipo. La formazione e la consacrazione di Mentasti sono così passate dal vicino Piemonte: scuola alberghiera a Stresa e "ascesa" al ristorante "La Gallina" di Gavi, provincia di Alessandria, dove il giovane gazzadese è chef dal 2008. Nel mezzo stage prestigiosi in alcuni templi della gastronomia nazionale ed esperienze di rilievo soprattutto in Val d’Aosta e Sardegna per crescere dal punto di vista personale e carpire i segreti dei maestri, come è nella tradizione del mestiere.
Da Gazzada, a Gavi alla stella Michelin: ci racconti come è andata a Milano.
«Ho ricevuto l’invito per la cerimonia qualche giorno fa ma devo dire che l’attesa è stata un po’ angosciante. Sai che sei lì per quello, ti aspetti di essere chiamato ma fino a quando non senti il tuo nome rimani in tensione. Poi però arriva la felicità perché la stella Michelin resta comunque il sogno di ogni cuoco».
Si aspettava questo riconoscimento?
«No, o per lo meno non quest’anno. Nei mesi scorsi non ho pensato alla possibilità di ricevere la stella ma piuttosto mi sono impegnato a fondo per migliorare il mio lavoro e il mio locale. Direi che è stato un premio piuttosto inatteso».
Cosa guida Massimo Mentasti all’interno della sua cucina?
«Amo ripetere una frase semplice che però racchiude il mio pensiero, la mia filosofia: "Prediligo una cucina di memorie e ghiottonerie personali". Amo preparare piatti classici e tradizionali, ben sapendo però che sono nati per persone con stili di vita molto diversi da quelli odierni. Quindi mi piace proporli togliendo la pesantezza che avevano in origine: cerco di offrire sapori netti, decisi e puliti per riscoprire certi gusti che si sono persi con il passare del tempo».
Scorrendo il menu de "La Gallina" si nota l’utilizzo di molti prodotti locali.
«Esatto: la base di partenza per i miei piatti è sempre quella della tradizione, in particolare quella piemontese che d’altra parte non è molto lontana da quella lombarda da cui provengo. Le differenze tra le due regioni, spesso, risiedono solo nei particolari. In genere "esco" dal Piemonte solo per quei prodotti o per quelle materie prime che non posso trovare nella regione in cui sto lavorando».
Avere sede in una località come Gavi, famosa per il vino, aiuta?
«Aiuta il fatto di essere in una zona già conosciuta che tra l’altro può fornire molte materie prime grazie a una terra e a una natura molto generose. C’è il vino, anche se qualcuno ci considera i "cugini sfigati dei barolisti", ci sono tanti tartufi e molto altro ancora: adesso sta a noi far conoscere sempre di più Gavi anche sotto il profilo della ristorazione».
Domanda banale ma doverosa: quali piatti preferisce cucinare?
«In generale quelli di carne e i risotti. In menu ne propongo uno in particolare, con il Gavi e la robiola di Roccaverano, un formaggio di capra prodotto a pochi chilometri da qui che secondo me si sposa perfettamente con il vino di questo territorio».
Altra domanda che viene spontanea: ritiene ci siano le possibilità, per lei, di tornare nel Varesotto a capo di un ristorante di alto livello?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, perché non voglio sembrare scortese. Però, storicamente, nella nostra provincia non c’è abbastanza cultura per questo tipo di locali. Non conosco di persona Ilario Vinciguerra (titolare dell’omonimo ristorante di Gallarate, una stella Michelin ndr) che ha il coraggio di restare in zona a lavorare. Intendiamoci: i varesotti hanno molti pregi, amano anche mangiare bene ma non in locali ricercati. Non so quale sia il motivo: forse pesa la vicinanza con Milano dove comunque si possono fare esperienze di un certo livello».
Infine ci tolga una curiosità: quale consiglio dà a chi entra per la prima volta in un ristorante stellato?
«Credo che la cosa più importante sia l’essere predisposti a capire i piatti che vengono proposti: andare in un ristorante è un’esperienza di piacere ma anche di cultura e saper ascoltare è importante. Questo approccio va tenuto, a mio avviso, anche quando si valutano i costi: prima di giudicare il prezzo di una portata o di un menu è necessario capire il pensiero, il lavoro e le materie prime di cui è composto, la preparazione che richiede, ma anche i dettagli del servizio. Posate, bicchieri, tovaglie, la sala, l’attenzione dei camerieri: tutto concorre a rendere più costosa una cena in un ristorante stellato, ma è giusto valutare la qualità di tutto l’insieme».
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