“Tutti i migliori sono matti”
La storia del diciannovenne "Titan" Paolo, autore del libro "Vado a farmi la chemio e torno" . In sei anni dalla scoperta di un terribile tumore fino all'amputazione della gamba sinistra. "Sono sereno e riprenderò presto a giocare a basket nella mia Briantea".
"Ti svelo un segreto: tutti i migliori sono matti". Quando si incrociano gli occhi di Paolo viene da pensarla un po’ come sua sorella Alice. Dopo sei anni di protesi, giovedì scorso ha detto addio alla sua gamba sinistra. Il “Titan”, come era stato soprannominato dopo il primo intervento, ha scelto l’amputazione.
La vita di Paolo fino a 13 anni scorreva come quella di tanti ragazzini. Poi una diagnosi terribile. «Per la prima volta entrai in ospedale dove c’erano molti bambini senza capelli che camminano attaccati a un tubicino collegato a un flacone, le pompe della chemioterapia. Per la prima volta sentii parlare di «osteosarcoma», un tumore maligno molto aggressivo. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, mi sentivo come dentro un vortice, tutto mi girava intorno. Piangevo terrorizzato con mamma, mentre papà era nell’ufficio a parlare con una dottoressa che mi aveva visitato».
Dopo alcune visite e le prime cure, il 13 novembre 2008 viene eseguito l’intervento che gli avrebbe permesso di salvare la gamba.
«In verità, finite diverse terapie, sono stato bene solo un anno e mezzo, da quando ho iniziato a giocare a basket in carrozzina. Poi dal 2012 è iniziato un periodo faticoso e con forti dolori. Dovevo usare sempre più spesso le stampelle e tanti anti dolorifici».
Il 13 novembre, a sei anni esatti dall’intervento di ricostruzione del ginocchio, la tibia cede e si frantuma. Paolo stavolta non ha dubbi e chiede subito che gli venga amputata la gamba.
«A casa mia non erano tanto sicuri della mia scelta. Era un po’ che ci pensavo, ma i miei erano molto preoccupati. Siamo passati da tre diversi consulti medici, e poi siamo tornati anche dallo psicologo. La decisione è restata quella, e così il 4 dicembre sono entrato in ospedale e il giorno dopo mi hanno amputato la gamba. L’11 ero di nuovo a casa».
E ora come stai?
«Bene. Il problema più grande sono i dolori nell’arto che non ho più. È una cosa normale. Me lo avevano detto, ma non pensavo fossero così forti. Non è solo un formicolio al piede, ma vere e proprie scariche. Prendo degli anti dolorifici, ma di notte è davvero dura e potrebbe durare un bel po’. Proveremo con la Mirror Therapy che può dare dei benefici rispetto ai dolori dell’arto fantasma».
Perché hai deciso di farti amputare la gamba?
«Non è stata una decisione facile. I tre medici che abbiamo incontrato hanno dato pareri diversi. Mi avevano consigliato una artrodesi. Si trattava di tagliare la tibia, allungare la protesi interna già presente e attaccarla poi ad un osso del piede. In questo modo avrei avuto la gamba salva, ma quasi sicuramente mi sarebbe rimasta la caviglia bloccata. A quel punto ho parlato con alcuni ragazzi che erano passati dalla mia stessa situazione e ho deciso. Non mi pento di quella scelta».
Ma come fai ad esser così sereno?
«Credo che una parte della ragione sia nella mi curiosità. Io ho sempre voluto sapere tutta la verità sulla mia condizione. Questo anche rispetto al cancro. Avevo 13 anni, ma ho iniziato a pensare come un vecchio saggio di 60. Poi mi aiuta la mia famiglia, mia sorella Alice, i miei amici, le tante persone che mi sono vicini e in particolare il basket in carrozzina. I disabili non vanno compatiti e lo sport fa capire tante cose».

«Dal 2010 gioco a Cantù con la Briantea84. All’inizio di stagione ho esordito nella prima gara di serie A giocando qualche minuto. Ora ovviamente sarò costretto a star fermo per qualche mese, ma riprenderò appena possibile. Ho giocato anche con la nazionale Under 22 e sono contento che la mia squadra è arrivata terza agli europei dello scorso anno».
La cucina, fin da bambino, è stata l’altra tua passione…
«Si. Ho anche studiato per arrivare a fare il cuoco. del resto non potrò giocare tutta la vita a basket e poi con quello non si guadagna. Appena possibile cercherò di riprendere a studiare per l’Università, mi sono iscritto a Milano a Scienze e tecniche dell’alimentazione, ma fare lo chef resta il mio sogno».
Dopo il blog e la pubblicazione del tuo libro “Vado a fare la chemio e torno”, hai continuato a scrivere?
«Per il blog no. È sempre raggiungibile ma non lo aggiorno. Da allora uso prevalentemente il mio profilo Facebook e la pagina che avevamo aperto per il libro».
Come saranno i tuoi prossimi mesi?
«Adesso la cosa più importante è che guarisca bene e in fretta la ferita del moncherino. Verso metà gennaio andrò a Budrio dove inizieremo a fare le prime mosse fino a scegliere la protesi. Dovrò restare lì una quindicina di giorni per iniziare la riabilitazione e imparare a vivere con la mia “nuova gamba”».
Il coraggio di "Titan" merita la frase di sua sorella Alice con cui abbiamo aperto l’intervista. Non serve la saggezza dei sessantenni, perché Paolo già a 13 aveva dimostrato la forza e l’energia per vivere e sconfiggere il cancro. Oggi continua quel cammino.
Il coraggio di "Titan" merita la frase di sua sorella Alice con cui abbiamo aperto l’intervista. Non serve la saggezza dei sessantenni, perché Paolo già a 13 aveva dimostrato la forza e l’energia per vivere e sconfiggere il cancro. Oggi continua quel cammino.
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