Storie di Imprese

Kikko Brusa e le magliette che mordono

Chicco Brusa (o come preferisce lui Kikko) è un designer e stilista di Olgiate Olona capace di offrire alle imprese di abbigliamento un servizio di consulenza a 360 gradi

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Lo abbiamo conosciuto durante l’evento Skandia 2015, organizzato dalle principali associazioni di categoria della provincia e dal consorzio Provex per l’internazionalizzazione delle imprese varesine, Chicco Brusa (o come preferisce lui Kikko) è un designer e stilista di Olgiate Olona capace di offrire alle imprese di abbigliamento un servizio di consulenza a 360 gradi. Una professione che si è inventato più di vent’anni fa sulle sponde del lago di Como, con il marchio “Once in lifetime”, un’idea nata per scherzo tra una surfata e l’altra.

Chicco ma sul lago di Como si surfa?
«Con la vela sì (ride)».

Da windsurfista a creativo, com’è nata la passione per la moda?
«Era il 1994, all’epoca ero abbastanza conosciuto tra i praticanti del windsurf e un bel giorno ho tagliato una maglietta con la sagoma del morso di uno squalo. È così che ho cominciato, mi sono inventato un marchio e ho iniziato a girare l’Italia vendendo queste magliette “Once in lifetime” nei negozi di articoli per surfisti».

Come sei arrivato a lavorare per i marchi di abbigliamento?
«Il trampolino di lancio arriva nel 1997, quando un amico mi suggerisce di inviare un curriculum alla Sergio Tacchini. È lì che mi formo davvero».

In cosa consisteva il tuo lavoro?
«Per usare una metafora, ero lo chef che mischiava gli ingredienti. La direzione mi indicava il capo che voleva realizzare e io dovevo scegliere la composizione dei materiali: cotone, acetato, viscosa e così via… passare le informazioni ai modellisti e dare origine alla collezione». confartigianto generiche

Poi arriva la North Sails…
«Il mio grande colpo di fortuna. Dopo tre anni passati negli stabilimenti della Tacchini a Bellinzago, mi chiama l’ad della North Sails proponendomi il ruolo di direttore dell’ufficio prodotto e stile. Lì perfeziono la mia formazione. Il mio compito era quello di selezionare i fornitori in giro per il mondo, da Jackarta a Pechino, dalla Turchia alle Mauritius, e scegliere i migliori prodotti per rapporto qualità-prezzo. In sostanza il presidente dell’azienda mi diceva: “Vai dove vuoi, basta che quando torni mi porti il meglio”. E così ho passato tre anni in giro per il mondo. È in questo periodo che ho creato la mia rete di fornitori…».

Che ti servono ancora oggi?
«In parte sì. Dopo una breve esperienza per La Martina di Bergamo, un altro marchio di abbigliamento, nel 2004 decido di mettermi in proprio e dopo una settimana vengo contattato da un noto calciatore di serie A che voleva che gli disegnassi una linea d’abbigliamento. Poco dopo arrivano altri clienti come Colmar, Diadora e NAUTICA».

In pratica cosa offri ai tuoi clienti?
«Ti faccio un esempio, un’azienda mi chiama e mi chiede una linea per il tempo libero. Io disegno la linea e, a seconda del target price che mi indica il cliente, seleziono una serie di fornitori, italiani o stranieri, che mi forniscano i tessuti. Premetto che quelli italiani sono i migliori per fantasia e colori. Alla fine di questa fase assieme al cliente scegliamo se far confezionare la linea in Italia o in un altro paese. I capospalla in genere li lavoriamo in Italia, mentre per quel che riguarda la maglieria tagliata (polo, magliette, felpe ndr.) è praticamente impossibile essere competitivi con i prezzi esteri. Scelto lo stabilimento produttivo tornano indietro i capi prototipo, i modelli, che controllo personalmente per vedere che non ci siano difetti di confezione e/o vestibilità. Dopo le eventuali modifiche e l’approvazione del committente, presento alla rete commerciale la linea. Spesso in fiere dedicate come Pitti uomo immagine a Firenze».

Da libero professionista come hai vissuto la crisi di questi ultimi anni?
«Oggi le aziende sono diventate molto rigide e i primi costi a cui rinunciano sono quelli dei consulenti esterni come me, per cui puoi immaginare le difficoltà. Ma qualche piccolo segnale di ripresa c’è. Nel 2013 ho acquisito nuovi clienti come Marville e Rossinitrading, un’azienda specializzata in abbigliamento da lavoro, e le cose sembrano tornare a girare».

Quali sono le difficoltà di esser una partita Iva?
«Lo Stato dovrebbe dirmi: “Bravo, ti sei inventato un lavoro, hai dei buoni clienti vai avanti così, ti aiuto io”. Invece mi fa pagare quasi il 57 per cento all’anno di tasse. Quando le cose andavano bene avevo cinque ragazze che mi aiutavano a disegnare e a creare le collezioni, oggi ne ho solo una. L’unica cosa che non è cambiata da allora è solo lo Stato che non mi ha mai aiutato».

Tu però continui a investire.
«Sì, ho un sito internet, ho sistemi cloud, sono aggiornatissimo con tutti i programmi di disegno, investo ogni inizio stagione in costosi book tendenza per tenermi aggiornato, faccio i miei viaggi ricerca a Londra e recentemente, anche grazie a Confartigianato, ho partecipato a un evento per conoscere potenziali buyers scandinavi (Skandia 2015 ndr). Ma se dovessi dire ai miei figli che fare da grandi, gli direi andate all’estero».

Anche lavorare da soli non dev’essere facile. Sai che il Faberlab, l’officina digitale della provincia di Varese, è anche uno spazio di Coworking. Non ti sei mai interessato a questa formula lavorativa?
«Sinceramente no, ma non hai tutti i torti. Può essere una cosa molto interessante, soprattutto per chi ha bisogno sempre di nuovi stimoli per la propria attività. Ci andrò senz’altro».

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Pubblicato il 24 Aprile 2015
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