Storie di Imprese

Il re delle mozzarelle abita a Cantello

Quella del caseificio Gioiese è una tradizione che affonda le sue radici nella patria della mozzarella pugliese, Gioia del Colle. Una realtà gestita da un maestro casaro dalla grande esperienza, Pasquale Girardi

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Quella del caseificio Gioiese è una tradizione che affonda le sue radici nella patria della mozzarella pugliese, Gioia del Colle. Una fetta di meridione trapiantato a Cantello nel 1988 che ogni settimana trasforma 12 quintali di latte in ottime mozzarelle, burrate, ricotte, scamorze, caciotte e via dicendo. Una realtà gestita da un maestro casaro dalla grande esperienza, Pasquale Girardi.

Signor Pasquale, quando ha imparato a fare il formaggio?
«Ho iniziato a lavorare in un caseificio a 13 anni. All’inizio lavavo cestini e piastrelle, ma guardavo i maestri casari e cercavo di imparare i loro segreti». Il re delle mozzarelle abita a Cantello

I segreti?
«Sì, a Gioia del Colle, dove sono nato, i casari sono molto gelosi del loro mestiere e non lo insegnano volentieri. Comunque ho imparato facendo la gavetta. A 21 anni mi sono trasferito qui a Varese e dopo aver lavorato per il caseificio di Monate, il caseificio Lega, il Varesino e il Pugliese, nel 1988 mia moglie ed io abbiamo deciso di aprire qui a Cantello».

Perché proprio a Cantello?
«È stata un po’ una casualità. Cercavamo un posto adatto alle nostre esigenze e lo abbiamo trovato qui. Oggi lavoriamo molto con i frontalieri e con persone che arrivano da Malnate, Clivio, Saltrio, Viggiù. In realtà ai tempi della lira c’era molto più giro».

Cosa produce il suo caseificio?
«Produciamo ricotta, mozzarella, burrata, stracciatella, primo sale, cacio cavallo, scamorza, Italico, primo sale col pepe, formaggina, canestrato, ogni tanto la centrale del latte ci porta il latte di capra e facciamo il formaggio di capra, la caciotta stagionata e il “Burrino”, che in Puglia si chiama “Manteca”, la sfoglia di mozzarella ripiena, la mozzarella ripiena al prosciutto e i bocconcini alla panna su ordinazione».

 

Da dove acquistate il latte?
«Dalla centrale del latte di Varese. Ogni settimana ne compriamo tra i 12 e i 13 quintali».

Senta come fa una produzione piccola come la sua a farsi conoscere?
«Be’ faccio i mercatini di Varese durante le feste di primavera, d’autunno e durante il periodo natalizio. Siamo stati anche Gallarate, dove ci hanno apprezzati, anche se oggi bisogna scegliere molto bene la piazza. In alcune, come ad esempio quelle di Peveranza e Turate non siamo stati fortunati».

Non fate nessun tipo di pubblicità? Ma come fate a farvi conoscere dai clienti?
«No, non facciamo più pubblicità ma c’è molto passaparola. La gente che viene da noi ha una cultura del cibo. Se qualcuno si stupisce del fatto che una ricotta da noi costa 5 euro, io gli dico che meno cara può comprarla fatta con la farina di latte, qui trova solo qualità. Nei nostri prodotti non ci sono conservanti, c’è solo latte, caglio e sale. Infatti i nostri clienti più affezionati ci dicono che loro non sentono pesantezza o acidità, anche per questo ritornano».

Ristoranti o attività simili vengono da voi a rifornirsi?
«È molto difficile. Qualcuno c’è, ma per i ristoratori una lavorazione come la nostra, 100 per cento latte, costa troppo. In alcuni casi poi c’è chi ha i propri canali e paradossalmente gli costa meno farsela arrivare da giù. Per noi quello che conta è il punto vendita».

Secondo una recente inchiesta de “la Repubblica” per i produttori, il nostro latte costa 35 centesimi al litro, più di quello tedesco, francese, ceco, polacco e di molti altri Paesi europei. Una concorrenza impari, dovuta anche ai problemi irrisolti delle tristemente note quote latte. Nel vostro piccolo, quanto risentite di questi problemi?
«Guardi, proprio da alcune settimane abbiamo avuto meno latte di quanto ce ne serve. Non so dirle se sia un problema legato alle quote latte o ad altro, ma certo è che i problemi ci sono. Il primo è che in tutti questi anni i clienti sono diminuiti e le tasse aumentate».

Senta dopo di lei chi erediterà il suo saper fare?
«Dopo di me, qui in provincia di Varese, questa cultura scompare. Qualcuno viene a chiedere di imparare, poi mette le mani nell’acqua bollente delle mozzarelle e scappa senza voltarsi. Mia figlia ha scelto un’altra strada, fa l’infermiera e io sono contento così, ma la tradizione della mozzarella pugliese qui scompare».

Dal suo punto di vista oggi c’è più o meno cultura del buon cibo?
«Credo di sì. Rispetto a qualche anno fa la gente mi sembra più attenta a ciò che mangia. Se poi qualcuno leggendo questa intervista, volesse assaggiare i nostri prodotti può venirci a trovare qui a Cantello o alla festa dell’asparago di questo weekend al Palatende, dove potrà provare cosa significa mangiare il formaggio vero fatto a mano».

 

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Pubblicato il 22 Maggio 2015
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