“Errori nelle indagini su Uva, ma non fu picchiato”
La tesi definitiva della pm Daniela Borgonovo: i lividi, le urla, le botte, tutti sospetti nati da equivoci ed errori di valutazione. Ecco che cosa è accaduto secondo la procura
Mentre il mondo era distratto dall’incredibile arresto del presunto assassino di Lidia Macchi, un altro caso in tribunale arrivava praticamente al capolinea,quantomeno nella versione della procura di Varese su quanto sia accaduto a Giuseppe Uva il 14 giugno del 2008. L’associazione mediatica tra il caso Cucchi e il caso Uva ha reso difficile spiegare che cosa sia accaduto in tribunale in questi mesi, ma le parole della pm Daniela Borgonovo, ieri in aula, hanno messo un punto fermo sulle ricostruzioni della pubblica accusa. Che per la terza volta, e dopo una indagine allargata a tantissimi testimoni, ha concluso che non c’è mai stato il pestaggio contro Giuseppe. E allora perché tanti sospetti? Daniela Borgonovo lo ha detto, con molta trasparenza, alla corte d’assise. La procura, nel 2008, sottovalutò la situazione: non furono subito interrogati tutti i testimoni, tra cui l’amico Alberto Biggiogero e non vennero eventualmente indagati poliziotti e carabinieri, al fine di esplorare ogni possibile conclusione.
Questa ammissione, che non ricade ovviamente sulla procuratrice Borgonovo, ma sul pm Agostino Abate che per primo condusse le indagini, è la base per capire come mai, dopo tanti anni, ha preso piede la teoria “complottista”, come l’ha definita il pm, agitata sui media da Lucia Uva e dai suoi avvocati. Sì, perché solo un complotto di agenti, medici, infermieri e guardie giurate dell’ospedale, in mancanza di altre prove, potrebbe a questo punto spiegare, secondo la procura, come mai, quella notte, ci sia stato un pestaggio, e perché invece tutti insistono nel dire di aver visto un altro film: Uva che minacciava gli agenti e si gettava contro i muri per evitare la denuncia per ubriachezza e schiamazzi.
Tuttavia, ha ricordato la Borgonovo, il processo penale non è uno show, deve basarsi su testimonianze solide, prove certe, indizi gravi e concordanti, perizie coerenti e scientificamente accettate (e la teoria del trigger utilizzata nei processi ai medici, non è tra queste). Sono emerse le prove al processo? No. Le testimonianze su quanto accaduto sono coincidenti, ed escludono che fu picchiato: lo dicono gli imputati, ma soprattutto lo dicono barellieri, volontari, medici, infermieri;cioè tutti coloro i quali entrarono in contatto con Beppe Uva, dalle 3 e mezza di quella mattina fino alla morte.
Nessuno vide mai un gesto violento. Già, ma tutti hanno visto le foto del corpo in obitorio. Vero, ma le macchie rosse non sono in realtà lividi, bensì macchie ipostatiche dovute al deflusso sanguigno dopo la morte. Lucia Uva equivocò e disse di aver visto le fratture in obitorio, ma la Borgonovo ha definito le sue parole fantasiose ed errate. Nessuna frattura, lo certificano le perizie di procura e tribunale. Uva aveva solo delle escoriazioni lievi, spiegabili con la dinamica di quella notte: le testate contro il muto e la vetrata, i gesti di ribellione in caserma. La vendetta dei carabinieri? Falsa, nessuno ha mai potuto dire che la moglie di uno di loro avesse una relazione con Uva. E anche l’ipotesi di un pestaggio, per vendicarsi di un litigio in discoteca è del tutto inventata. I due carabinieri, quando intervennero per fermare gli schiamazzi di Uva e Biggiogero, non operarono al buio, di nascosto, senza farsi vedere, ma si dedicarono prima a rimettere a posto le transenne, successivamente chiamarono la polizia per farsi aiutare. Gli imputati erano dei semplici agenti di turno quella notte, non potevano avere in mente una vendetta, alcuni di loro non conoscevano nemmeno Uva.
Non è neppure vero, secondo la procura, che un carabiniere disse la frase “Uva proprio a te cercavo” riferita solo da Biggiogero, ma in un racconto continuamente contraddetto durante il processo. E neanche di violenza sessuale si può parlare, poiché non vi erano tracce. La pm Borgonovo ha smontato inoltre la ricostruzione della donna delle pulizie dell’ospedale, Assunta Russo, la quale disse di averlo visto circondato da 12 persona in divisa che lo minacciavano in pronto soccorso. Tutti gli altri infermieri, e anche la guardia giurata, hanno dato un’altra versione, e dunque come poteva aver visto, la Russo, una realtà da tutti smentita? Uva non disse mai a nessuno di essere stato picchiato. Solo una testimone, su circa 50, ha affermato il contrario, la dottoressa Finazzi, assolta da tutte le accuse in un altro processo, poiché fu lei a somministrare a Uva due sedativi in pronto soccorso prima che venisse spostato in psichiatria dove morì tra le 9 e le 10 di mattina. La pm Borgonovo ha definito la sua testimonianza scarsamente credibile, incerta e contraddittoria. E stranamente mai segnalata in cartella clinica.
Le urla udite in caserma da Biggiogero furono in realtà le urla della concitazione, della ribellione di Uva con gli agenti che non sapevano come contenerlo e furono equivocate da Alberto, persona debole e, come ha certificato una perizia, incline a leggere gli avvenimenti in chiave vittimistica e rabbiosa. Biggiogero disse di essere stato delle ore in caserma, in realtà gli orari lo smentiscono. Alle 3 e 52 chiamò il padre con toni calmi, alle 3 e 57 chiamò il 118 (“stanno massacrando un ragazzo”), mentre alle 4 il carabiniere Righetto telefonò alla guardia medica chiedendo il tso, alle 4 e 10 arrivò il medico Noubissiè. Questi sono i veri orari del caso Uva
Difficile da credere, per chi non ha mai seguito il processo, ma è il terzo pm che arriva a questa conclusione, dopo aver convocato un battaglione di testimoni recuperati da ogni parte, persino dal Camerun (Noubissié). Questa, dunque, è la versione definitiva della Procura di Varese. Se sia quella corretta, lo deciderà la corte d’assise.
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