Si stava meglio quando si stava peggio?
La riflessione di Giuseppe Adamoli. "Perché dobbiamo far crescere nei giovani il presentimento di una vita grama, tale che val poco la pena di lottare per salire la scala sociale?"

Si sente spesso dire, non solo in Italia, che nel passato si viveva meglio. Ciò vuol dire che di quel tempo andato si tende a ricordare solo le cose belle. Il secolo scorso è stato invece quello di due guerre mondiali con epicentro l’Europa, della Shoa, delle miserie più cupe, delle ideologie devastanti.
Nei settant’anni di pace i progressi sono stati enormi sotto l’aspetto umano, sociale, economico.
Certo, oggi la finanza gioca una parte troppo determinante e le disuguaglianze fra ricchi e poveri tendono ad aumentare in varie realtà territoriali ma se allarghiamo l’esame ai vari continenti scorgiamo facilmente che delle economie considerate “emergenti” alcuni decenni fa hanno accorciato di molto le distanze con i Paesi più abbienti.
Le migrazioni sono ancora più forti del passato (ci sono sempre state e noi italiani dovremmo saperlo bene) ed hanno un carattere che mette a dura prova la società occidentale plasmata dal cristianesimo. Si tratta di una battaglia di culture e il confronto con i musulmani potrebbe alla fine anche risvegliare il nostro senso di identità.
Perché dobbiamo far crescere nei giovani il presentimento di una vita grama, tale che val poco la pena di lottare per salire la scala sociale? Il mondo è diventato più piccolo, una grande chance per loro di misurarsi con nuovi modi di pensare e di immergersi in prospettive di lavoro e di vita poco esplorabili fino a non molto tempo fa.
Non è un’analisi la mia, ma un semplice sentimento di reazione ad un cedimento psicologico e culturale che trovo iniquo e pericoloso.
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