La manifattura ai tempi di internet è fatta di bit e atomi

Quinto appuntamento alla Liuc con “Le frontiere dell’innovazione”. Luca Mari: «La convergenza tra materia, energia e informazione genera sistemi di produzione sempre più connessi, accessibili e individuati, quindi interoperabili»

Liuc generico

«Come per ogni rivoluzione industriale anche per la Fabbrica 4.0 la tecnologia è solo un abilitatore». Per Luca Mari, direttore scientifico di Smartup, laboratorio di fabbricazione digitale dell’Università Liuc di Castellanza, è la convergenza di atomi e bit ad abilitare la Fabbrica 4.0 che, in un contesto di connettività diffusa, genera strutture collaborative ed efficienti con al centro le persone.

La manifattura ai tempi di Internet, alla quale è stato dedicato il  quinto appuntamento del ciclo di incontri dell’ateneo di Castellanza “Le frontiere dell’innovazione”, è qualcosa che dunque va ben oltre la tecnologia con cui spesso si identifica. La convergenza di cui parla Mari tra materia, energia e informazione apre diversi scenari dove prodotti e sistemi di produzione saranno sempre più connessi, accessibili e individuati, quindi interoperabili, capaci di elaborare e memorizzare dati e dotati di una propria identità. Il quadro illustrato dal direttore di Smartup, sottintende una domanda importante alla quale però è difficile rispondere: in pochi anni stiamo cercando di fare quello che l’evoluzione ha realizzato biologicamente in milioni di anni?

«Non abbiamo ancora visto nulla di quello che succederà» dice Ernesto Santini, responsabile dell’innovazione del gruppo BTicino Legrand.  «Il problema per la Fabbrica 4.0 – continua il manager – non è la tecnologia, ma sono i linguaggi. E l’interoperabità è possibile solo se si condivide lo stesso linguaggio».

In un mondo sempre più interconnesso, grazie ai costi bassissimi della tecnologia abilitante, cercare di chiudersi è un grave errore che può condurre al fallimento. «Mentre i protocolli servono a trasferire dati – spiega Santini – è il linguaggio, cioè il contenuto, che permette di aprirsi e quindi di creare valore». Per esempio, il linguaggio open source elaborato dal gruppo francese per la domotica ha una comunità di riferimento costituita da 15mila persone che lo utilizzano con applicazioni creative  (ad esempio, per le serre) e non previste originariamente dal produttore.

Utilizzare un linguaggio fatto di icone, facilmente condivisibile dai clienti, è stata la scelta di Giorgio Rancilio, terza generazione nella famosa azienda che produce macchine per il caffè. «Abbiamo scelto quello  che tutti noi abbiamo in tasca» racconta l’imprenditore che ama definirsi «metalmeccanico di provincia».

Rancilio ha lasciato al cliente anche la scelta del dispositivo con cui far dialogare le macchine prodotte. In un elenco mostrato da Mari e stilato da McKinsey sulle barriere all’entrata  in tema di Fabbrica 4.0 non ci sono fattori legati alla tecnologia, mentre abbondano quelli legati alla persona. «Tra quelle elencate – sottolinea Rancilio – mi colpisce la mancanza di coraggio che spesso caratterizza i giovani, molto sicuri nel metodo, ma scarsamente creativi e con poca voglia di rischiare».

Secondo Santini, l’elenco di McKinsey è piuttosto scontato nella sua formulazione generica, perché c’è un fattore di fondo che mette in scacco le aziende del Belpaese rispetto ai concorrenti tedeschi, considerati in fatto di Fabbrica 4.0 i primi della classe: l’individualismo anarchico degli italiani che non riescono a fare clan e ad aggregarsi in cluster.

Marco De Battista, coordinatore aree economiche di Univa, ricorda che, seppure in ritardo rispetto alla Germania, su questi temi si stanno muovendo con una serie di iniziative, come il piano strategico Lombardia 2030, non solo le associazioni di categoria, le università e i centri di ricerca ma anche il Governo  che ha presentato un documento chiamato “Manifattura Italia” per far fronte ai nuovi tempi. «In tema di industria 4.0 – conclude De Battista – sarà determinante l’impegno del Paese di dotarsi di un disegno di sviluppo di lungo periodo e di una strategia coerente di politica industriale, in grado di sostenere la vocazione manifatturiera del paese e di governare le trasformazioni della società».

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Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 15 Aprile 2016
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