Via Francigena: da Sivizzano a Cassio

Si entra nel cuore degli Appennini e si scoprono sentieri e paesini nascosti. È ancora un giorno di incontro mentre altri due varesini sono in cammino

Via Francigena, da Sivizzano a Cassio

Il cielo è azzurro intenso e l’aria frizzante. Durante la notte è arrivato un forte temporale con fulmini, tuoni e anche una discreta quantità d’acqua. Da queste parti lo aspettavano speranzosi perché “qui non siamo in Africa” come commentavano ieri sera nella piccola trattoria di Sivizzano.

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Erano tanti giorni che non pioveva e la terra era completamente secca, ma quel che più soffrivano gli abitanti della zona, era un caldo fuori dalle temperature abituali. Qui si sente già il clima montanaro, come fossimo già immerso negli Appennini.

Sivizzano è a soli 246 metri di altezza, ma bastano pochi chilometri per ritrovarsi subito dentro l’habitat tipico dell’alta montagna.

Il sentiero all’inizio fa fare uno strano zig zag sulle rive del torrente completamente in secca. Non si nota quasi l’ultimo guado che sostituisce un ponte crollato, per la verità l’ennesimo che mi lascia qualche dubbio su come siano stati progettati e costruiti.

Da lì si riprende la strada provinciale che inizia a salire seriamente e nel giro di poco si arriva a Bardone dove c’è una splendida Pieve. Non posso visitarla perchè alle sette del mattino non c’è anima viva in giro e la chiesa è chiusa. Ancora poco e sono a Terenzo. Subito fuori dal paese incontro una signora che appena mi vede mi fa un sorriso celestiale.
«Da dove arriva? E dove sta andando?». In due minuti mi fa una raffica di domande, ma poi capisco che è lei che mi vuole raccontare. «Ho settantaquattro anni e tutti i giorni vado a camminare almeno un’ora. Poi devo tornare a casa perché mio marito è invalido e ha bisogno di assistenza continua. Però finché sto bene non rinuncio ai miei giri».
Mi indica il sentiero e soprattutto la fontana e l’area sosta. “Lì trova un’acqua buona e fresca e poi ci sono le indicazioni per voi pellegrini”.

Le sue indicazioni sono preziose per l’ultima breve pausa e il rifornimento della piccola borraccia di acqua.
Da lì si lascia la strada e ci si immerge nel bosco con un sentiero che sale di colpo a una pendenza da stroncare fiato e gambe. Sale ripido e velocemente si arriva al primo scollinamento.

Da lì, sopra gli ottocento metri, si apre una vista mozzafiato sulle valli e si riesce a vedere anche verso la pianura. La giornata è perfetta per camminare perché il caldo asfissiante è solo un ricordo e colpisce come si cerchi il sole con gioia. Nelle scorse giornate anche una piccola ombra per pochi metri era un vero sollievo. Ora invece la situazione si è ribaltata anche perché quassù appena si alza il vento fa perfino freddo.

Il sentiero compie un lungo giro per aggirare una montagna e poi riprende a salire. Il bosco di conifere di Cassio è spettacolare e si sente il profumo tipico dei pini e degli abeti di montagna.

A pochi chilometri dal paese incontro Maria Bice, una signora di Cremona che viene in vacanza a Cassio da tanti anni.
«È un paesino tranquillo e si sta in gran pace. Mi piace molto camminare e qui di certo non mancano sentieri e posti dove andare». Mi racconta che le piacerebbe molto fare la via Francigena. «Vorrei camminare sola, come sta facendo lei. È una occasione per stare con se stessi e per godere delle tante bellezze. Chissà che un giorno non riesca…»
Entriamo insieme in paese. Mi indica la sua casa e ci salutiamo mentre io proseguo per il centinaio di metri che mi porteranno all’ostello. Subito prima c’è un piccolo forno e un bar. Mi fermo lì, come ho fatto in tutte le tappe. Mi piace assaporare il luogo dove starò la notte. Mi piace cercar di capire cosa si muove, i discorsi che si fanno, le persone che vivono e i dialetti usati.

Cassio è un piccolo borgo, ma si coglie subito una forte identità. C’è cura nelle case, è stata rifatta tutta la pavimentazione e la presenza di esercizi pubblici, di un hotel e dell’ostello lo rendono meno “tagliato fuori”. Mi fermo a guardare una bacheca e, insieme con un avviso pubblico, la pubblicità di lezioni di musica e di un evento passato, c’è un volantino posizionato con cura con quattro puntine che spiega in sintesi il senso della scelta dell’identità anarchica. Non mi capitava da tanto di vedere promozione dell’anarchia.

A casa di mio figlio a Milano avevo trovato un numero di Lotta comunista, ma li è diverso. C’è una militanza porta a porta e i ragazzi dopo esser stati contattati diverse volte avevano acquistato una copia di quelli strani fogli con tanto testo fitto fitto e senza foto. Segno forse che le diversità non fanno solo paura, come mi diceva ieri Antonio, ma incuriosiscono pure e possono creare empatia.

Quel volantino sull’anarchia mi fa rivedere subito la lapide che anche qui mi ha lasciato senza fiato. All’ingresso del paese, sulla parete dell’edificio che una volta ospitava i bambini delle scuole elementari, c’è il classico monumento e ricordo ai caduti. Se a Sivizzano i morti e i dispersi erano 26, qui si parla di decine e decine tanto che la lapide all’inizio per i primi trenta nomi corre su due colonne e poi fa un elenco continuo perchè lo spazio richiesto sarebbe stato enorme. La grande guerra richiese un contributo umano impressionante.
Cosa c’entri tutto questo con l’anarchia ora ci porterebbe lontano dalla Francigena, ma poi non so se la questione sia così tanto ideologica.

Il cammino è la migliore porta d’accesso all’anima, ma è anche un ponte verso l’incontro, l’accoglienza, la cura. Ingredienti che hanno poco a che fare con la guerra. Così come l’arte e lo si capisce bene dalle piccole e grandi storie dei paesi dilaniati dagli ultimi conflitti. In Bosnia i ragazzi si ritrovano finalmente a giocare a calcio al di là delle etnie e religioni. Lo stesso vale per chi si ritrova a suonare insieme.  La Francigena è così un filo culturale oltre che una rete di strade e sentieri. Le persone si incontrano, parlano, confrontano al di là delle appartenenze.

Anche oggi le sorprese non sono mancate. La più bella è l’arrivo all’ostello. Me ne avevano parlato bene, ma vederlo è tutta un’altra cosa. Un posto delizioso. Come per la Cisa è stato un accordo tra Anas e Provincia di Parma a permettere di costruire spazi di accoglienza ai pellegrini. Qui a Cassio Andrea ne ha fatto un piccolo angolo di paradiso familiare. Curato in ogni particolare dentro e fuori. Ogni camera è arredata con gusto quasi fossimo in un hotel. Gli spazi comuni sono caldi e accoglienti e il giardino è tutto un fiorire di piante e fiori.

«Sono tornato qui a Cassio da dieci anni e da cinque gestisco l’ostello. Sono ancora pochi i pellegrini, ma ottocento rispetto ai duecento di cinque anni fa, indicano una bella crescita. Speriamo continui e ne arrivino sempre di più».

Lui ci mette amore e passione e lo si avverte appena si entra in casa. È bello vedere tanta attenzione perché lascia davvero bei segni.

L’ultima sorpresa è l’arrivo di Andrea, un collega di Varese che da tanto tempo è la voce della Provincia. È partito oggi da Fornovo e arriverà a Sarzana. Con lui siamo in tre, tra l’altro tutta “brutta gente” che lavora nella comunicazione. Avanti a noi, partito lunedì da Altopascio c’è anche Marco Pinti che aveva già percorso sei tappe della Francigena lo scorso anno. Come si vede rischia di diventare una epidemia. Una di quelle però che non portano malessere, ma passione e ponti. E Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno.

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Pubblicato il 14 Luglio 2016
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