Archivio dei diari, al via il Premio Pieve Saverio Tutino 2016
Inizia la 32° edizione dedicata ai migranti e alla memoria delle migrazioni Il diario più bello sarà premiato domenica 18 settembre alle 16.30

Da alcuni anni il programma del Premio Pieve Saverio Tutino, il festival dedicato alle scritture autobiografiche inedite, viaggia su un duplice binario. Da una parte si celebra la fase finale del concorso riservato ai diari, alle memorie e agli epistolari delle persone comuni, con la proclamazione del testo vincitore all’interno della manifestazione “Memorie in piazza” che quest’anno si svolgerà domenica 18 settembre a partire dalle 16.30 nel centro di Pieve Santo Stefano. Dall’altra parte, nei giorni che precedono (apertura del festival venerdì 16 alle 16.00) l’Archivio si impegna a sviluppare un tema di riflessione, più o meno attuale, attraverso dibattiti, spettacoli dal vivo, performance teatrali e musicali, presentazioni di libri, ecc.
Quest’anno il tema scelto come filo conduttore della rassegna è stato quello delle migrazioni e della memoria delle migrazioni.
Le otto storie arrivano da tutta Italia. Dalla più antica, datata 1899, alla più recente, ancora non conclusa e in via di quotidiano aggiornamento: ripercorrono l’intero Novecento attraverso sentimenti ed emozioni, ma anche con lucide – a volte ironiche – analisi della società contemporanea.
C’è la storia di Chandra Ganapati, giovane “furia” che si salva dalla dipendenza dalle droghe grazie ad una ricerca di se stessa e grazie anche all’arrivo di un figlio. C’è quella di Cinzia Pinotti, una mamma che negli anni Novanta si trova ad affrontare la più drammatica delle situazioni: la malattia e la morte di una figlia piccola. E poi c’è la vita votata all’arte di Fausto Vagnetti, pittore talentuoso che racconta il proprio mondo in un diario in cui la realtà è vista da una prospettiva artistica.
Ci sono anche storie d’amore, come quella raccontata nelle lettere che si scambiavano Camillo Forghieri e Ada Tonelli, incuranti di un’Italia e un’Europa stravolte dalla seconda guerra mondiale, e in quelle che, negli anni Venti, Giulio Turchi inviava in un intenso carteggio ad Emma Forconi. Lui era un operaio metallurgico, lei una sarta, amavano entrambi studiare, leggere e avevano una precisa visione, anche politica, della società degli anni Venti. Nel loro breve epistolario c’è parte di una storia che poi andrà avanti nonostante l’arresto di Giulio per cospirazione politica (che lo porterà al confino alle Tremiti). Dopo la Guerra, il riscatto: Giulio diventerà deputato della Repubblica per il Partito Comunista.
Poi c’è il salto nel buio rappresentato da un avventuroso viaggio nel cuore dell’Africa all’inizio del Novecento di Giulio Cesare Scatolari, medico 23enne ingaggiato in Congo nelle fila della milizia coloniale belga. Il giovane partì nel 1899, lo stesso anno in cui veniva pubblicato Cuore di Tenebra di Conrad.
Mentre a ricordarci cosa è stata la guerra c’è la storia di Ivano Cipriani, cresciuto negli anni del regime fascista in una famiglia di comunisti pronti a sacrificare i propri ideali per crescerlo in sintonia con quella che era la società del tempo. Ivano abbraccerà i dettami del regime e solo dopo il conflitto mondiale, una volta adulto, prenderà la strada che lo porterà a sua volta ad aderire al PCI.
Ci sono quindi le riflessioni ironiche, pungenti e a volte amare di Marcello Caprarella, italiano che vive in Spagna e che guarda da lontano l’attuale realtà italiana.
Il tema del Premio Pieve 2016: StoriEmigranti
La storia di un’emigrazione comincia sempre da un punto di partenza e finisce con un punto di arrivo. E poi c’è tutto quello che sta nel mezzo. Il viaggio. Che spesso è la parte più difficile da vivere e raccontare. Se ci chiedessero di descrivere il punto di arrivo di un’emigrazione, avremmo un vasto immaginario da richiamare. Evocheremmo prima scene tragiche che abbiamo interiorizzato in molti anni, dai barconi che affondano al largo delle nostre coste ai corpi senza vita dei naufraghi, di ogni età, riversi sulla spiagge. Poi forse ci tornerebbero alla mente i centri di raccolta e smistamento dei migranti, e la visione di chi resta ai margini delle nostre metropoli e della società. Infine, in misura minore, andremmo col pensiero a chi ha raggiunto felicemente il punto d’arrivo, a chi ha ricominciato a vivere una vita normale quand’è giunto a destinazione. Se invece ci chiedessero di descrivere il punto di partenza di un’emigrazione, ci troveremmo in difficoltà. Penseremmo ai contesti di povertà, o di guerra civile, etnica, religiosa, che oggi in tutto il mondo creano le condizioni per un esodo in massa di milioni di uomini e donne. Ma faticheremmo a visualizzarli.
Cambio di prospettiva.
Smettere di pensare all’emigrazione come allo spostamento di un popolo da un luogo geografico a un altro. Cominciare a immaginarlo come lo spostamento da un’epoca a un’altra. Il punto di arrivo resterebbe quello dei barconi, dei margini delle metropoli e dei rari esempi di felicità. Il punto di partenza lo ritroveremmo nella nostra memoria, anche molto recente, nella storia degli italiani che hanno avuto le guerre in casa fino alla metà del secolo scorso, la povertà fino a ieri, a oggi. Allora sì che riusciremmo a visualizzare. Vedremmo partire i nostri fratelli, genitori e nonni, e vedremmo arrivare i migranti africani, mediorientali o asiatici che attraversano i nostri confini. Ci siamo lasciati trasportare da questa suggestione, da questa rilettura del fenomeno migratorio, e ci siamo resi conto che l’Archivio dei diari ha molto da dare per contribuire a una riflessione comune. Per aiutare chi fatica a immaginare quale sia il punto di partenza di un migrante. Per contribuire a scrivere la storia di ciò che sta nel mezzo, quella del viaggio. Non abbandoniamo la suggestione. Non immaginiamo il viaggio da un luogo geografico a un altro, ma il viaggio da un’epoca a un’altra. Cos’è accaduto da quando partivamo in cerca di una condizione di vita migliore, a quando abbiamo iniziato a divenire terra di approdo, spesso anche di indifferenza e di odio, per chi cerca a sua volta una condizione di vita migliore? È un viaggio difficile da raccontare. Bisogna partire dalla cronaca dell’oggi, e dalle testimonianze scritte di anni fa, e farle incontrare al punto giusto. Bisogna sovrapporre il parlato e lo scritto, lingue diverse, mondi lontani.
È così che abbiamo immaginato il Premio Pieve Saverio Tutino 2016, come l’incontro tra chi vive e racconta le emigrazioni di oggi e noi, che abbiamo raccolto e conservato, e che raccontiamo, le emigrazioni di ieri.
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