La fabbrica persa: nei cassetti la storia della cartiera e del “suo” paese

Alla Vita Mayer lavorarono fino al 1977 tre generazioni di abitanti di Cairate, ma anche persone arrivate da altre parti d'Italia. Una storia collettiva che, dopo una lunga ricerca, viene ora raccontata da uno spazio-mostra permanente

Mostra Cartiera Cairate a me fola

È uno di quei paesi in cui ogni abitante può dire di aver avuto un parente che lavorava nella fabbrica-mamma, quella che dava il pane a tutti. A Cairate la fabbrica era la cartiera Vita Mayer, “la fola”, in dialetto lombardo.

Un mastodonte di mattoni, cemento, ferro e anche amianto, nato a inizio Novecento, più che raddoppiato nelle dimensioni e nella capacità produttiva a inizio Cinquanta, infine divenuto negli ultimi 40 anni un fantasma inutile e ingombrante.

La cartiera Vita-Mayer era una fabbrica, ma era anche un universo sociale, fatto di scuola, case operaie, dopolavoro e squadra di atletica con campo sportivo. Un sistema che si prendeva cura di operai e famiglie dalla culla alla tomba, ma passando dall’assunzione. Per molti tutto è iniziato dalla scuola professionale, un edificio giù in valle, vicino alla cartiera. “Questo è il registro della prima classe entrata, anno 1940-41» spiega Marta Pampado, mostrando il materiale raccolto nella Mostra permanente “A me fola”, inaugurata sabato negli spazi del circolo Cavallotti, ai margini del paese.

Mostra Cartiera Cairate a me fola

«Io in cartiera ci ho lavorato come impiegata per pochi anni, ma mio marito a lungo, fino alla chiusura» racconta Pampado. «Per anni ho vissuto a contatto con i dipendenti. Grazie alla scuola hanno sviluppato una vera professionalità, per il settore in cui lavoravano. Pochi erano i laureati, anche tra i dirigenti, perché la vera formazione continua veniva fatta nella scuola».

Mostra Cartiera Cairate a me fola

A tagliare il nastro della Mostra permanente è stato Angelo Magistrelli, «classe 1929, l’ultimo rimasto» della prima leva che varcò le porte della scuola professionale ViMa. La sua storia è esemplare della ‘filiera’ che formava professionalità all’interno della fabbrica: 1Noi abbiamo fatto tre anni di ‘addestramento’ dagli undici anni di età, poi tre anni di qualifica: metà giornata a scuola e metà in cartiera. Ho fatto dieci da operaio dal 1943, dodici anni da impiegato, poi gli ultimi dodici da dirigente».

La scuola nacque nel 1940, dopo la Seconda Guerra Mondiale si mise in cantiere il raddoppio della cartiera, voluto dal proprietario, il milanese di origine ebraica Astorre Mayer (che nel ’38 aveva visto sequestrato l’impianto per effetto delle leggi razziali) . All’inizio gli studenti della scuola e gli assunti erano quasi tutti cairatesi, almeno tra gli operai, poi man mano ci si allargò ad altri villaggi della valle. Fin da subito però la grande fabbrica – duemila e passa dipendenti – portò anche lavoratori da fuori, specie tra gli alti gradi.
«Mio padre, ingegnere, è arrivato nel 1953, da Copparo vicino a Ferrara» spiega Daniele Cazzuffi, gallaratese, che è stato poi anche nel CDA di Prealpi Servizi, la società pubblica oggi proprietaria dell’enorme area dismessa della cartiera. «Si era laureato all’Universita di Bologna: non si sa per quale ragione, Astorre Mayer assumeva dirigenti soprattutto attingendo dai laureati bolognesi. I miei genitori si sono sposati nel 1955 e mia mamma qui in zona si trovava con altre mogli di dirigenti emiliani e romagnoli, donne di Forlì, di Bologna, di Cesena». Emiliano, di Carpi, era anche il medico di fabbrica, Gioacchino Testi Santini, ricordato anche perché era nipote di don Zeno Saltini, carismatica figura del Dopoguerra, fondatore di Nomadelfia.

Mostra Cartiera Cairate a me fola

Per altri la cartiera è invece storia di famiglia ancora più datata. Ottorino Galfrascoli è iscritto di uno dei circoli Acli del paese (sono più di uno, un caso strano): «Questa è la iscrizione di mio padre, Gino Galfrascoli fu Fortunato, assunto il 1 settembre 1924», racconta mostrando il registro matricole, che riporta assunzioni (e licenziamenti e riassunzioni, come si faceva prima della Cassa Integrazione) a partire dal 1906. Quando si è sparsa la voce delle ricerche in corso per la mostra, il registro è stato portato in dono da un cairatese, che l’ha recuperato in un mercatino dell’antiquariato a Milano.

«Il lavoro di ricerca – continua Galfrascoli – è nato da una visita alla scuola ViMa ed è proseguito nell’arco di anni, scoprendo man mano nuovi documenti. Abbiamo i registri della scuola, lettere, qualche migliaio di vetrini del laboratorio fotografico della cartiera». La selezione è stata ardua («Il materiale esposto e forse il 2% del totale»), ma la mostra – ospitata in una sala dedicata ad Astorre Mayer – cerca di raccontare in modo completo la storia che è stata di tanti singoli e di un paese intero. Ci sono anche alcuni prodotti finiti: alla cartiera arrivavano alberi dalla Valtellina, ne usciva carta per la stampa (celebre quella per il Corriere della Sera), ma anche tovagliolini, carta igienica, carta assorbente. Dalla soffitta del signor Magistrelli – il primo allievo della scuola, «l’ultimo rimasto della classe ’29» – è saltato fuori persino qualche pacco di carta igienica ancora incellophanata, come fosse campionario pronto da mandare ai clienti.

Mostra Cartiera Cairate a me fola

A Cairate la cartiera era un po’ una condanna (“sapevo di dover lavorare in cartiera, come mio padre prima di me”: si direbbe così, se questo fosse un film) ma anche una benedizione. Il miracolo della valle Olona è durato poco meno di 70 anni, poco più di 25 da quando l’impianto di raddoppiato. Qui molti citano «il fallimento del 27 giugno 1977», come fosse la data di morte di un parente, la fine di un mondo. La “fola” è rimasta lì, in fondo alla valle, silente. La famiglia di operai e dirigenti si è dispersa: molti a casa in mobilità («fu un disastro inatteso, intervenne il ministro, allora Donat-Cattin»), altri emigrarono altrove. «Sono andati dove c’erano cartiere”»ricorda ancora Marta Pampado, che ha coordinato il lavoro della ricerca. «Noi ad esempio siamo andati a san Marino, poi in Toscana, a Porcari. Alcuni sono andati fino in Belgio, dove la famiglia Mayer aveva una cartiera a Bruxelles».

Mostra Cartiera Cairate a me fola

Oggi la ferita del fallimento della “fola” sembra quasi sanata. In estate sono partiti i primi interventi di bonifica, dopo un estenuante lavoro burocratico che ha coinvolto Comune e proprietà pubblica, di Prealpi Servizi. Ci vorrà de tempo, ma forse si arriverà a dare un nuovo volto all’area. Tra i curatori della mostra permanente ci sono i nipoti degli operai, ragazzi che della cartiera hanno sempre sentito parlare come di un vecchio antenato ma che dei miasmi che salivano dalla valle non sanno nulla.

Mostra Cartiera Cairate a me fola

La giovane architetto Alice Olivetto – nata dieci e più anni dopo la chiusura della fabbrica – ha disegnato bene la mostra: ci sono pannelli con le foto e cassetti che custodiscono ricordi, nomi, registri e campionario, disegni e pacchetti di fazzoletti. Forse molti han tenuto i cassetti dei ricordi chiusi, per pudore o per voltare pagina («pensa, le ultime cose del me’ omm le ho buttate due anni fa», dice una signora). Ma oggi possono riaprirli, accettare i ricordi che son solo ricordi e di far parte di una storia, di aver contribuito con il loro verso.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 30 Settembre 2017
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