Una band formidabile con uno strano nome: Van Der Graaf Generator
Il debutto (o quasi) di un gruppo fondamentale del prog

Una strana caratteristica comune a vari gruppi prog fu quella di “sbagliare” in qualche modo il primo disco, che restava quasi introvabile, e azzeccare il secondo, come in questo secondo disco degli inglesi Van Der Graaf Generator. Che prog era il loro? Si potrebbe definirlo dark, a partire dal titolo tratto da una frase del pittore John Minton (“Siamo inondati da un mare di sangue e il minimo che possiamo fare è salutarci con un cenno della mano”) ma proseguendo con i testi di Peter Hammill, grande appassionato di esoterismo, magia e tutto questo genere di cose: non era da tutti citare il Malleus Maleficarum in una canzone!. Un gruppo molto strano dal punto di vista strumentale, dato che la chitarra, quando c’era, non era certo uno strumento principale, mentre la parte del leone la facevano le tastiere ed il sax, o meglio i sax, visto che il pittoresco David Jackson, ispirandosi al jazzista Roland Kirk, anche dal vivo ne suonava spesso due contemporaneamente. E soprattutto la straordinaria voce di Hammill, capace di passare da momenti di furia ad altri di estrema dolcezza come nella splendida Refugees, dedicata ad una coppia che viveva in appartamento con lui.
Curiosità: il generatore di Van De Graaff – fisico statunitense al cui nome, chissà perché, fu tolta una F e aggiunta una R – è un generatore elettrostatico che si usa anche nei laboratori delle scuole, e produce una scarica elettrica tra la sua parte superiore, in genere a palla dove si accumula energia, e un conduttore (di fatto è raffigurato in qualche modo in copertina). L’idea dell’energia che si accumula per poi scaricarsi tutta insieme è indubbiamente suggestiva, oltre che calzante alla musica dei VDGG!
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