I ventilatori fai-da-te e il capitale umano

Il capitale umano è alla base del sistema delle relazioni interpersonali, formali ed informali, che generano il capitale sociale di una comunità, di un territorio, di un paese

Generica 2020

Frank Helleis, uno scienziato tedesco, ha avuto un’idea geniale per contenere il contagio in classe. Marito di una professoressa dell’IGS Mainz-Bretzenheim, un liceo di Magonza, in Germania, ha prodotto un sistema di ventilazione fai da te. Funziona come una cappa da cucina: sopra ogni banco è appeso un imbuto di plastica trasparente, attaccato a un tubo abbastanza stretto. I vari tubi a loro volta sono collegati a uno più largo, che porta a un ventilatore, il quale dirige l’aria all’esterno, attraverso una finestra inclinata.

I test effettuati dal prestigioso Max Planck Institute for Chemistry hanno dimostrato che il sistema riesce a rimuovere oltre il 90% degli aerosol dalla stanza, alla pari con le unità di filtrazione dell’aria più all’avanguardia sul mercato. La differenza da questi sistemi high-tech è il prezzo e la reperibilità dei materiali per costruirlo. Costa infatti solo 200 euro e i materiali si trovano in tutti i negozi di bricolage. Non è un caso.

Angela Merkel ha approvato fondi per 500 milioni di euro per migliorare la ventilazione degli edifici pubblici. Le scuole sono in cima alla lista delle sue priorità, come motore che da sempre ne determina la competitività a lungo termine del suo paese. (https://www.bbc.com/news/world-europe-54599593)

La gara della competitività globale si vince investendo sulla ricerca e la tecnologia e aumentando il valore del proprio capitale umano. Fenomeni come l’emigrazione e la conseguente fuga dei cervelli, la non valorizzazione dei talenti o l’insufficiente spesa pubblica per la scuola, costituiscono alcuni esempi di impoverimento del capitale umano con conseguenze sullo sviluppo economico di un territorio.

Il capitale umano è alla base del sistema delle relazioni interpersonali, formali ed informali, che generano il capitale sociale di una comunità, di un territorio, di un paese. Serve un sistema olistico che non alimenti diseguaglianze, anzi crei opportunità per talenti domestici e internazionali, a tutti i livelli di istruzione, integri il sistema scolastico con la formazione continua nelle imprese e protegga e promuova ambienti famigliari e sociale educativi.

La fuga dei cervelli è un fenomeno importante. Un esodo pari a quello del secondo dopoguerra. Gli italiani iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani all’estero) sono circa 5,2 milioni, mentre erano 3,1 milioni nel 2006, ma i numeri sono decisamente maggiori poiché in molti non si iscrivono al registro.

Negli ultimi tre anni 120mila italiani hanno lasciato il Paese (di questi il 42% ha una laurea). Negli ultimi 10 anni, la fuga senza ritorno dei giovani è costata all’Italia 16 miliardi di euro, più di un punto percentuale del Pil (Rapporto 2019 sull’Economia dell’Immigrazione, Fondazione Leone Moressa). Inoltre c’è il danno derivante dall’emigrazione di lungo periodo, verso aziende estere, di un neolaureato o di un ricercatore: ammonta a un miliardo di euro all’anno il danno economico che il nostro Paese subisce per i mancati introiti dei brevetti registrati dagli italiani espatriati. http://www.fondazioneleonemoressa.org/new/wp-content/uploads/2019/10/Slide-08.10.2019.pdf

Enzo Riboni li descrive così nel suo volume “Ciao Italia! 101 storie di cervelli in fuga”: «Migranti per libera scelta, per curiosità intellettuale, veri nomadi post moderni», sottolineando che: «Più che di fughe si tratta di inseguimenti. Inseguimenti di opportunità poco presenti in Italia, di futuri più coerenti con la propria preparazione, di maggiori possibilità di imparare e crescere professionalmente, di soddisfacimenti delle proprie positive ambizioni».

A spingerli è “il desiderio di futuro”, evidenzia Paolo Iacci, vice presidente di Aidp, Associazione direttori del personale, nella prefazione al libro, come se in Italia, oggi, non ci fosse la speranza di un domani migliore. La nuova edizione del World Talent Ranking dell’IMD (https://www.imd.org/wcc/world-competitiveness-center-rankings/world-talent-ranking-2020/) indica chiaramente le lacune del nostro approccio paese rispetto a paesi benchmark come la Germania.

L’indice considera 3 fattori, misurati con 31 criteri: investimento e sviluppo dei talenti domestici, attrattività verso talenti esteri, maturità e disponibilità delle competenzeL’Italia è relativamente forte per:(posizione nel global ranking): rapporto alunni/insegnanti alle primarie e secondarie (10°, 18°) retribuzione del top management (9°) sistema universitario avanzato (23°).  I punti di debolezza: priorità alla formazione dei dipendenti nelle aziende (60°), capacità di attrarre e trattenere i talenti (60°), esperienza internazionale dei senior manager (50°). A parità con l’Italia per investimento pubblico sul sistema educativo come percentuale del GDP (4%), la Germania eccelle per: implementazione dell’apprendistato (2°) formazione aziendale dei dipendenti (3°) laureati in discipline scientifiche (3°).

La lezione è chiara. Non è sufficiente l’eccellenza accademica, di cui per ora abbiamo ancora tanti esempi, è necessaria anche la formazione professionale degli istituti tecnici con programmi flessibili e in continua osmosi con il sistema della formazione aziendale. In Italia, ci fanno ben sperare e segnano un via da seguire, i casi recentissimi del settore telecomunicazioni.

TIM e Vodafone hanno siglato importanti accordi sindacali per l’utilizzo del Fondo Nuove Competenze (https://www.fasi.biz/it/notizie/in-evidenza/22572-fondo-nuove-competenze-bando-anpal.html#), istituito con il Decreto Rilancio e rifinanziato ad agosto.

L’obiettivo del fondo e degli accordi è favorire specifiche rimodulazioni dell’orario di lavoro  in base alle quali una parte dell’orario di lavoro viene usata per percorsi formativi. Il Fondo nuove competenze copre gli oneri relativi alle ore di formazione, comprensivi dei relativi contributi previdenziali e assistenziali e può essere utilizzato anche per favorire la realizzazione di percorsi di ricollocazione dei lavoratori.

Il fine ultimo è aumentare l’occupabilità delle persone in vista delle trasformazioni tecnologiche in corso e attese. Alcuni dei titoli dei corsi dal programma TIM danno un’idea della prospettiva ampia e trasversale su cui è fondato: Lavoro agile: tempo, spazio, persone, desksharing, Sostenibilità e inclusione; Data driven culture; Security awareness; Metodologie agili; Comunicazione social; Digital enterprise; Agile customer care; Soft skills e mindset; Change management; Team coaching; Leadership al femminile; Cultura del feedback.

Le aziende che investono sulla formazione per i nuovi modi di lavorare (es. smart working) ed espandono le capacità adattive dei collaboratori con programmi di sviluppo di nuove competenze verso nuovi modelli di produzione e servizio (es. online/digitali), motivano le proprie persone, un fattore determinante della produttività. Siamo in un paese dal potenziale enorme. Non è troppo tardi. Ogni istituzione, azienda, comunità, famiglia e individuo deve prendersi la sua responsabilità per trasformare i doni di chi ci ha preceduto in opportunità per chi viene dopo di noi. Come ci ricorda frate Elia, della comunità di Bose, commentando la parabola dei talenti e l’installazione di Charlie Jeffery, Il cambiamento è inevitabile, la crescita personale è una scelta”. 

Altrimenti, i talenti se ne andranno forse in Grecia o ovunque ci siano idee forti per attrarli e trattenerli.

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Pubblicato il 25 Novembre 2020
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